CHI E’ STEFANO ZUCCALA’?
Uno che scrive.
“IL CONTO DEGLI AVANZI” CHE ANIMA CONTIENE?
Questo libro è una raccolta di racconti brevi, di short-stories. È quasi un libro a tema sulla fragilità e spigolosità dell’animo umano, che però proprio in determinati frangenti “scomodi” ritrova le sue vere radici. Poi ci sono racconti più violenti (non in senso pulp) e altri più “arpeggiati”. Ma fanno tutti parte di uno stesso mosaico.
COME E QUANTO E’ CAMBIATA LA SCRITTURA DI STEFANO DALLA PRIMA OPERA “QUADERNO IN LA MINORE” ALLA QUARTA “IL CONTO DEGLI AVANZI”?
Le tematiche di fondo son sempre le stesse. Non scrivo a tavolino, né tantomeno amo la sperimentazione fine a se stessa. I primi due libri, avendoli scritti dai 19 ai 22 anni, li trovo abbastanza distanti, ora. Sono stati dei passaggi obbligati, importanti (per me), ma c’era ancora troppa “letteratura” dentro. È inevitabile che sia stato così, le cose si evolvono e col tempo si abbandonano determinati cliché stilistici dovuti alle letture e agli imprinting dell’adolescenza. Ora scrivo in modo più viscerale – che certo non vuol dire che non ci sia sempre un controllo continuo sullo stile, tutt’altro.
LA POESIA SOFFRE NEL MERCATO STAMPATO?
Bella domanda. Dovresti chiedermi se la poesia soffre nel non-mercato stampato. C’è molta sovrapproduzione e caos, si legge poco (specie i versi). La poesia soffre, certo, ma è importante intendersi su un punto: scrivere versi non vuol dire semplicemente andare a capo con le parole. Questo approccio è dannoso e inutile, e pecca di ingenuità. Ci fosse più autocritica in giro, sarebbe meglio. Poi c’è l’eccesso opposto: la poesia che si nutre di letteratura, e basta. I tecnicismi, i virtuosismi eccetera. Una noia mortale. Ovvio: ognuno fa ciò che gli pare. E ognuno legge ciò che vuole. Per me l’unico discrimine è l’assenza o presenza di forza in ciò che si scrive.
COM’E’ LA NOTTE DELLO SCRITTORE?
Dipende dai periodi, dal momento esistenziale che si sta attraversando. Comunque, la notte è sempre bella. Che la si attraversi da insonni o da dormienti, nelle urla o nella gioia.
CHE EPOCA VIVIAMO? E CHE MOMENTO VIVE LA LETTERATURA?
Sono domande molto complicate. Io parlo sempre di Medioevo, in questi casi. È un’era caotica ed oscura, volgare e priva di punti di riferimento – che servono sempre, purché non siano imposti. Ora davvero siamo nel deserto – seppure affollatissimo. Per quanto riguarda la seconda parte della tua domanda, posso dirti che l’ipertrofia comunicativa che viviamo da un po’ di tempo, comunque, danneggia la letteratura, la scrittura. Perché le parole che poi finiscono nei libri, hanno bisogno di solitudine, di silenzio e macerazione, di uno spazio appartato nel quale svilupparsi.
Quando riesco a dire esattamente ciò che sento di voler dire, e quando le parole si incastrano bene tra loro, anche a livello di suono e di ritmo. Credo sia tutto.
IL RITRATTO DI UN GRANDE PITTORE TI FAREBBE SORRIDENTE O SERIO?
Non saprei dirti. Forse si vedrebbe un piccolo ghigno, non so. Oppure sarei serio, purché ci si intenda sul punto che essere seri non vuol dire essere seriosi. Ma poi mi spieghi quale grande pittore dovrebbe farmi un ritratto?
COS’E’ LA SOLITUDINE?
La solitudine è soffrire della propria solitudine. Il non saperla accettare. C’è una solitudine inestirpabile, che non si può abbandonare. Non bisogna temerla, perché può diventare una ricchezza. Altro discorso è la solitudine “sociale”, o quella sentimentale. La solitudine buona è quella che trascende dal rapporto con gli altri, quella che permette di crearti un tuo spazio, di coltivare la tua vocazione, e va difesa. È il nostro stesso essere al mondo. Non ha a che fare con la sociologia, o con il fatto di non saper con chi uscire la sera. È il nostro stesso sguardo.
HAI SCRITTO TESTI PER HUMPTY DUMPTY (“PIANOBAR DALLA FOSSA” 2010) E HAI LAVORATO AI TESTI DEL PROSSIMO ALBUM DEI MUFFX (ÉPOQUE, di prossima uscita). COME SI TRASFORMA LA POESIA CHE SI AFFIANCA ALLA MUSICA? CHE DIFFERENZA C’E’ TRA IL POETA E IL CANTAUTORE?
La parola che deve essere cantata è molto diversa dalla parola scritta, che deve essere letta. Ci sono esigenze diverse, di metrica e di suono. Io amo scrivere testi per altri, questi due album (che vivono sonorità e immaginari differenti) hanno rappresentato due piccole sfide per me. Posso dire di essere soddisfatto, sì. Quando riesco a racchiudere un’immagine in uno spazio metrico prestabilito, è una bella sensazione. E amo confrontarmi con i musicisti e far nascere qualcosa da ciò che abbiamo in comune.
HO L’ULTIMO TUO LIBRO IN MANO PER UNA DEDICA.
“Prova a tenere il conto delle cose buone. - s.”
PER INCONTRARE ANCORA LA SCRITTURA DI STEFANO ZUCCALA'
“Quaderno in la minore” (Manni, 2001, introduzione di Ercole Ugo D’Andrea), “Nadir” (Il Filo, 2004), “D’amore e di altre sevizie” (Zona, 2006, con un saggio di Livio Romano) e (“Pianobar dalla fossa”, 2010).
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