martedì 26 gennaio 2016

Intervista a Giulia Campa, autrice di "Una parte di me" (Lupo editore) - Alberto Zuccalà





Ciao Giulia! Una parte di me (edito da Lupo Editore) è il tuo primo romanzo. Com’è nato in te il desiderio di scrivere questa storia?
Credo che per anni, inconsapevolmente, questa storia sia vissuta dentro di me, alimentata da quello che avveniva in me ed intorno a me. Poi, un giorno, in maniera prorompente, è venuta fuori, e le mie dita hanno iniziato a pigiare convinte i tasti, generando delle frasi che meravigliavano persino me stessa quando le rileggevo. Molte pagine di questo libro le ho scritte con gli occhi lucidi e il cuore in gola. Ho scritto tutto in un mese e mezzo. Circa cinquanta giorni in cui non sono stata Giulia, ma Lorenzo, Viola e Francesco, i protagonisti della storia.
Sicuramente, alla base di questo romanzo c’è una domanda. Una domanda che, nella vita, ognuno di noi prima o poi si sarà posto: quanto è sottile il confine tra odio e amore?

“Una parte di me”. Perché questo titolo? E soprattutto, quanto c’è di te nella storia?
 “Una parte di me” nella storia di Lorenzo ha un doppio significato, in quanto rappresenta: sia un forte legame che lo unisce a qualcun altro, che, in tal modo, diventa una parte di sé; sia un dono, nel vero senso della parola, di una parte di sé a qualcun altro.
Naturalmente, dato che i protagonisti sono per me come dei figli immaginari, c’è una parte di me in ognuno di loro. Chi mi conosce bene, infatti, mi troverà sicuramente tra le righe. In molti pensieri di Lorenzo ci sono le mie riflessioni sulla vita, il mio amore per la scrittura e per il mare, e addirittura, la mia fobia per gli ospedali! In Francesco, invece, la mia timidezza; in Viola, il mio romanticismo, i miei riccioli e la mia passione per i balli latino-americani.
Ma soprattutto, c’è una parte di me nella consapevolezza di quanto sia importante amare e lasciarsi amare, una consapevolezza che maturerà in Lorenzo nel corso della storia.

Raccontaci il romanzo in poche parole.
È la storia di Lorenzo, un giovane giornalista trentenne, che, in un letto d’ospedale, ripensa alla sua vita, e a quella vigilia di Natale di molti anni prima, quando lui, a soli dieci anni, ha assistito inerme allo stravolgimento della sua vita e delle sue poche certezze, a causa della repentina ed inspiegabile partenza del padre. Un triste evento che lo ha segnato per sempre, influenzando tutte le sue scelte future.
Il protagonista, in un percorso di grande crescita interiore, comprenderà che la potenza della vita, se da un lato ci può far tanto soffrire, dall’altro ci può infondere la forza per andare avanti, per andare “oltre il deserto” e per scoprire, in tal modo, cosa si nasconde al di là dei suoi desolanti colori e del suo perfetto silenzio.


La storia è raccontata in prima persona dal protagonista, con un linguaggio semplice e con una rigorosa alternanza tra presente e passato. Cosa ti ha portata a fare questa scelta stilistica e narrativa?
Trattandosi di una storia che parla di sentimenti profondi, ho ritenuto fosse importante parlare in prima persona, in modo da far comprendere ancora di più al lettore le emozioni provate dal protagonista. In questo modo, sin dalla prima parola si diventa Lorenzo e si entra nel suo mondo.
L’alternanza tra presente e passato crea una maggiore suspense e dinamismo, generando una sorta di storia nella storia.

Quanto è importante per Lorenzo il Salento, luogo in cui è ambientato il romanzo?
Lorenzo è molto legato alla sua terra natìa, tanto da arrivare a lasciare la sua ragazza, che lo vuole con sé a Parigi. Alla fine, però, il protagonista si renderà conto che per essere felici non è importante il luogo in cui stai, ma con chi stai, perché, anche se lontano, la tua terra d’origine la porterai sempre nel cuore.

Una curiosità: come hai fatto a conciliare il tuo lavoro da contabile con la passione per la scrittura?
E’ semplice: quando lavoro, uso la mente; quando scrivo, l’anima.

In conclusione, perché dovremmo comprare il tuo libro?
Rispondo citando il commento di un lettore: “È stata un'avventura fantastica leggere questo libro meraviglioso!”

Questo il link per seguire la pagina del romanzo:

lunedì 25 gennaio 2016

Intervista a Roberta Magliocca, autrice di "Portami a vedere i treni" - Alberto Zuccalà





Ciao Roberta, scrittrice – giornalista – editor – caporedattrice – suonatrice di Tammorra. Chi sei?
Tutte queste cose e nessuna di esse. Mi piacerebbe dire che sono diventata giornalista per passione, per una vocazione che fin da piccola mi ha accompagnata. Non è così. Sono diventata giornalista perchè ad un certo punto della mia vita mi sono resa conto che con la penna sapevo farci, che ciò che scrivevo veniva letto con piacere ed interesse. E così, per niente sicura, molto incerta mi sono inserita in questo mondo dal quale – oggi – è impensabile uscire. Sono diventata, poi, editor e caporedattrice dopo un percorso intrapreso con dei miei colleghi universitari che ci ha portato a fondare nel 2012, Eroica Fenice un giornale online. Un’esperienza che ancora oggi spiega appieno ciò che sono. La tammora, beh, quella è pura energia. Suonare un tamburo, suonare le canzoni della mia terra, quello è amore, è radici secolari di quercia, è sentire il ritmo del proprio cuore ad ogni colpo. Una tammorra non la si può spiegare, la si può solo ascoltare, la si può solo vivere.

Da qualche giorno è uscito “Portami a Vedere i Treni”, tuo secondo libro edito dalla Senso Inverso Edizioni. Ti andrebbe di parlarcene?
Portami a vedere i treni parla di Giulio, malato di Alzheimer. Giulio non sa che la figlia Margherita aspetta due gemelli, nè ricorda che in passato rinnegò il figlio Marcello. Un'improvvisa parentesi di lucidità lo mette faccia a faccia con quest'ultimo: un incontro che avviene dopo venticinque anni di rottura e silenzi. La vita, nel suo percorso paradossale, offre ai due l'occasione di un chiarimento proprio quando le tenebre della malattia stanno portando oscurità. "Portami a vedere i treni" fotografa uno spaccato della vita di Giulio, seguito con amore nei suoi sbalzi d'umore, nelle sue fissazioni, nel suo vuoto. Ci parla di due uomini, delle loro sofferenze, della loro umanità.


Cosa c’è di te in questo libro?
Anche qui, tutto e niente. Portami a vedere i treni è una storia inventata ma che racconta i luoghi della mia vita, le persone della mia vita, le tragedie della mia vita. Ho perso una zia nel 1994, che ci ha lasciato dando vita a due gemelli, i miei tesori. Mia nonna materna proprio in quegli anni cominciava ad ammalarsi di Alzheimer, malattia che l’ha accompagnata per un decennio. Io ero solo una bambina, capii poco. Solo oggi, a quasi trent’anni capisco quanto tutto questo abbia influito sulle vicende della mia famiglia. Mia nonna dimenticava ogni giorno la sua storia, ogni giorno un po’. L’affanno per farle ricordare la sua vita faceva soffrire noi, ma ancor di più confondeva lei. Ecco, Portami a vedere i treni è una seconda opportunità. Dare a mia nonna la vita che credeva di avere senza che qualcun altro gli dicesse la realtà, che era realtà per noi, non più per lei. Anche perchè la sua storia sono i suoi figli, i suoi nipoti, io la racconterò per ricordarla, la racconterò sempre. Così per mia zia. Ho pochi ricordi, ma parlerò di lei fino a quando avrò possibilità di dire e di raccontare.

Progetti futuri?
Questo devi chiederlo all’Italia. Perchè io ho scelto una strada e la sto percorrendo. Sto studiando, sto lavorando tanto, i miei genitori mi stanno sostenendo economicamente e psicologicamente. L’Italia, a questo punto, dovrebbe venirmi incontro. Dovrebbe riconoscermi la fatica, le delusioni e i successi. Lei dovrebbe accorgersi di me.

mercoledì 20 gennaio 2016

Intervista a Greta Larosa, tutta l'emozione in una fotografia - Alberto Zuccalà



Ciao Greta, ci parli del tuo legame con la fotografia e della tua visione di essa?
Ciao, certo! La fotografia è qualcosa che mi fa sentire veramente bene, riesce a farmi staccare completamente la mente dal mondo circostante e a darmi tranquillità. Sono una persona molto emotiva e sensibile per questo credo che la fotografia debba essere principalmente fonte di emozione. Se mi trovassi davanti uno scatto perfetto tecnicamente, ma vuoto dal punto di vista emotivo; e uno con alcuni errori, ma che riesce a trasmettermi emozioni, sceglierei senza dubbio il secondo. Per me gli scatti migliori non sono quelli estremamente tecnici, ma quelli che riescono ad emozionarmi. La fotografia è un mezzo di comunicazione e va usato per trasmettere significati, la tecnica ha la sua importanza, ma non va presa troppo seriamente. Credo che sia sbagliato giudicare le fotografie esclusivamente dal punto di vista tecnico, per me una fotografia è corretta solo se trasmette qualcosa.

Qual’è il genere di fotografia a cui ti senti più legata? 
Da osservatrice apprezzo ogni tipo di fotografia dai paesaggi, ai ritratti, allo still life. Da fotografa invece preferisco la fotografia ritrattistica perché è quella in cui mi ritrovo di più, mi piace stabilire un legame tra il soggetto e l’ambiente circostante, mi piace esaltare la bellezza della natura e dell’essere umano. Adoro dar sfogo alla fantasia e dar vita alla mia visione del mondo, per questo  nei miei scatti utilizzo spesso elementi o colori poco realistici. Le mie fotografie molte volte trasmettono  malinconia e gli stati d’animo interiori che solitamente cerchiamo di nascondere agli altri. Credo sia importante trasmettere sentimenti ed è quello che cerco di fare in ogni mio scatto. All’interno di ogni foto cerco di mettere qualcosa di mio, del mio carattere, del mio modo di essere e del mio modo di pensare. 


All’interno del tuo portfolio ho visto alcune fotografie di matrimoni, parlacene.
Certo, nell’ultimo anno ho avuto la fortuna di fotografare alcuni matrimoni e mi sono innamorata di questo genere di fotografia. Sono fotografie semplici che trasmettono emozioni reali, senza finzione. All’interno di un matrimonio preferisco degli scatti naturali rispetto alle classiche foto in posa; cerco di dedicarmi di più ai sorrisi, agli abbracci e ai momenti veri della festa, piuttosto che a delle pose finte che spesso non riescono a trasmettere i veri sentimenti di quel giorno. Mi piace tantissimo l’idea di poter immortalare un ricordo che i due sposi potranno conservare per il resto della loro vita. Credo che in un matrimonio, come in molti altri avvenimenti, sia più importante avere delle belle fotografie piuttosto che un bel vestito o delle belle bomboniere, perché a distanza di anni saranno quegli scatti a mantenere vivo il ricordo. 

Pensi di essere arrivata come fotografa?
Assolutamente no. Credo che nella vita non si arrivi mai, perché arrivare significherebbe smettere di crescere e di migliorarsi. Sono solamente all’inizio di un percorso infinito. 

Quali sono i progetti per il tuo futuro dal punto di vista fotografico?
Non ne ho idea, per il momento prendo molto le cose come vengono. Sento che sto seguendo la strada giusta, ma non voglio pensare troppo al futuro. Quello che so è che adesso fotografare mi fa stare bene e non ho la minima intenzione di smettere. 
Posso dire che la fotografia mi ha cresciuta molto, grazie ad essa ho imparato a conoscermi. Mi ha insegnato a mettermi alla prova, a cercare sempre di migliorarmi e soprattutto a credere in me stessa.


martedì 19 gennaio 2016

Santhià e il Carnevale "storico" del 2016 - Alberto Zuccalà




Scalpitano i preparativi  per il carnevale più antico del Piemonte. Un paese intero di "artisti" che si veste a festa e fantasia per il carnevale. Un evento unico nel suo genere che raccoglie ogni anno centinaia di visitatori. Un'esperienza unica nel suo genere e sicuramente da non perdere perchè piena di colori, tanta musica e coriandoli a dismisura. Dai carri allegorici alle maschere circolanti per strada ci sono idee, lavoro, movimento fino a notte fonda. Abbiamo pensato di presentarvi questi artisti "sui generis" per mostrarvi quanta arte si celi dietro le quinte di un grande carnevale e ordinariamente intorno a noi.

6 Gennaio 2016 - L’apertura del Carvè
L'apertura del Carnevale avviene per tradizione sempre la sera del 6 Gennaio. La Direzione, lo Stato Maggiore, il Corpo Pifferi e Tamburi e le Bande musicali, insieme ai partecipanti delle Compagnie, si ritrovano alle ore 20 in Piazza Roma. Da lì parte il corteo che percorre la via centrale della Città e annuncia alla popolazione l'apertura del Tempo Carnevalesco. Dal sabato successivo possono avere inizio le Pule e le Còngreghe. Raramente, quando il Carnevale è risultato particolarmente basso (cioè collocato nei primissimi giorni di febbraio), l'apertura è stata anticipata al giorno di Capodanno per avere il tempo di svolgere tutte le Pule e le Còngreghe previste.

La Tradizione delle Pule e delle Congreghe
A partire dal giorno dell'Epifania (che, come detto, rappresenta il tradizionale giorno di apertura del Carnevale di Santhià), e fino agli ultimi tre giorni del tempo di Carnevale, la Città è impegnata ogni sabato e domenica nello svolgimento delle “Pule”. Ogni compagnia carnevalesca è titolare di una parte del territorio (urbano o extraurbano) e i vari componenti della Compagnia si fanno accompagnare da sei musicisti della Banda Musicale Cittadina (la “Squadra 'dla Pula”), recandosi di casa in casa, in un tradizionale percorso tra le cascine e le vie cittadine, per ricevere una questua che va a costituire il patrimonio per l'organizzazione del Carnevale stesso. A volte le offerte in denaro sono sostituite da offerte in natura (la gallinella o “pula”, appunto).
Anticamente la questua presso le cascine serviva a procurare il salame e i fagioli per la Fagiolata o i soldi per pagare il sale per condirla (in tempi remoti erano detti infatti “i sòld 'dla sal”). Al termine della giornata, che trascorre in allegria tra cibo e musica, la Squadra rientra in città e si reca in un luogo prestabilito, dove avviene la Còngrega, una particolarissima asta strutturata in modo da coinvolgere i componenti della Squadra avversaria, facendo in modo che questi rilancino il prezzo. Naturalmente il tradizionale cerimoniale si perde tra il divertimento, qualche ripicca e tanto orgoglio e memoria storica.
I quat che la restai - Edizione 2015


23 Gennaio 2016 - Antico rito della “Salamada”
Quindici giorni prima di Carnevale si svolgeva, fino a qualche anno fa, un altro importante evento, cruciale per la preparazione della Fagiolata: la “Salamada”. Si trattava di null'altro che della processione per le vie della città di dodici suini che si avviavano al macello e dalle cui carni venivano confezionati i salami necessari alla Fagiolata. La tradizione si è col tempo adeguata alla maggior sensibilità animalista e alle più severe regole moderne, perciò la sfilata è oggi puramente simbolica e i suini non corrono più per le vie cittadine. Dai primi anni ’90 è stata proposta una simpatica rivisitazione di questa storica sfilata, dove i protagonisti non sono maiali in carne e zamponi ma persone travestite dal simpatico animaletto grufolante; inoltre dal 2011 un mascherone di cartapesta raffigurante il muso di un maiale accompagna la Direzione nella distribuzione di prelibati panini con la porchetta a tutta la popolazione.

2 Febbraio 2016 - Presentazione Ufficiale delle Maschere
La sera del martedì antecedente il Giovedì grasso, nel Padiglione delle Feste avviene la presentazione ufficiale, tra la curiosità di tutta la popolazione, della coppia che impersonerà le storiche maschere: Stevulin d’la Plisera e Majutin dal Pampardù, giovani sposi che, durante gli ultimi giorni di Carnevale, diventano i padroni della Città. Maschere provenienti da Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia fanno da testimonial al passaggio di consegne dalla coppia uscente ai giovani designati per l’anno in corso.

Articiock edizione 2015


4 Febbraio 2016 – Il tradizionale “Giòbia grass”
La sera del Giovedì grasso, al suono dei Pifferi e Tamburi del Carnevale Storico e delle due bande cittadine, i gruppi carnevaleschi organizzano lungo il Corso principale della Città un percorso eno-gastronomico, formato da circa 20 stand, dove si distribuiscono gratuitamente cibi e bevande a tutti i convenuti.


6 Febbraio 2016 - Cerimoniale Carnevalesco e Consegna delle chiavi della Città
In questa data si svolgono diverse manifestazioni:
- Insediamento delle tradizionali maschere popolari, Majutin dal Pampardù e Stevulin ‘dla Plisera, che ricevono dal Sindaco le chiavi della Città ed effettuano il proclama al Popolo.
- Tradizionale giro lungo le vie cittadine con il corpo dei Pifferi e Tamburi e le bande cittadine;
- Veglione carnevalesco in maschera, con ingresso delle maschere ufficiali.
Le maschere del Carnevale Storico di Santhià, padrone della città per tre giorni, sono una coppia di contadini, sposi novelli: Stevulin ‘dla Plisera (una cascina tuttora esistente ai confini con Tronzano Vercellese) e Majutin dal Pampardù (altra cascina esistente nei pressi della frazione Brianco di Salussola). Secondo la tradizione, avrebbero ricevuto le chiavi della città da un signorotto locale che voleva dimostrarsi magnanimo nei giorni di Carnevale. Questi personaggi si ricollegano alle antiche lotte popolari per l’affrancamento dal dominio e dalle vessazioni dei signori feudali: Stevulin e Majutin sono infatti i simboli della detronizzazione del signorotto locale e della conseguente erezione in libero Comune del borgo di Santhià.
Il Carnevale inizia con la loro presentazione in pubblico, che altro non è se non l’antico rituale della presentazione delle maschere del paese. Alla sera del sabato, i due sposi raggiungono la città e sono accolti dal corteo carnevalesco al completo; Santhià esulta e scende nelle vie al seguito dei loro beniamini; in piazza Maggiore[1] avviene la consegna delle chiavi da parte del Sindaco e Stevulin indirizza il suo proclama al popolo, analizzando con stimolante arguzia gli avvenimenti che hanno caratterizzato l’annata. Subito dopo, le maschere, sulle note della banda, isseranno la bandiera del Carnevale che sventolerà per tre giorni a ricordare a tutti che a Santhià è Carnevale.
Per questi tre giorni Stevulin e Majutin saranno padroni assoluti della città e guideranno tutta la cittadinanza durante l’intero corso dei festeggiamenti. Tre giorni di baldoria e divertimento. Negli anni le figure di "Stevu e Majòt", così vengono chiamate le maschere in modo confidenziale dai Santhiatesi, hanno assunto connotati precisi e sono state impersonate a ogni edizione da una coppia diversa. Durante le sfilate e in tutte le occasioni pubbliche Stevulin e Majutin sono accompagnati da membri della Direzione e dello Stato Maggiore.

7 Febbraio 2016 - Primo Corso Mascherato

Una domenica densa di eventi:
- Santa messa speciale con le maschere;
- Sfilata lungo le vie cittadine con le maschere, i gruppi e le bande cittadine per accogliere l’arrivo di Gianduja (la nota maschera piemontese, di cui a Santhià esiste un’antica statua, alla quale i Santhiatesi sono molto legati), che verrà issato sul suo trono al centro della piazza Maggiore e lì resterà per i tre giorni di festeggiamenti.
- Alle ore 14,30 si tiene il PRIMO CORSO MASCHERATO, con la partecipazione alla sfilata lungo il percorso cittadino di maschere a piedi, carri allegorici, bande e gruppi storici. In occasione dei corsi mascherati sfilano sia il gruppo storico dello Stato Maggiore, in divisa napoleonica, costituito in ricordo del passaggio da Santhià di Napoleone, in occasione della Battaglia di Marengo, sia il notissimo corpo dei Pifferi e Tamburi.

Carnevale è anche e soprattutto una spettacolare tradizione artigiana: dagli antichi carri di scagliola, pesanti e fragili, si è sviluppata una scuola stilistica della cartapesta che produce giganteschi carri multicolori, tra i più belli dei carnevali di tutto il Piemonte. Sono questi che sfilano per le strade cittadine durante i giorni di gala. E poi ci sono le centinaia di maschere, con costumi realizzati artigianalmente: un tripudio di colori e figuranti che riempiono di gioia ogni via. La sfilata è composta da oltre 2.000 comparse in maschera, più di 30 compagnie del carnevale e vari gruppi musicali. Tutta la Città si ferma per partecipare ai corsi mascherati della domenica e del martedì pomeriggio, oltre alla sfilata notturna del lunedì sera. Carri giganti e colorati, carri piccoli, maschere a piedi e gruppi misti: ogni categoria è ammessa a sfilare. L’unica regola è il divertimento.
Poi, la domenica sera di Carnevale, al termine del primo Giro di Gala, si svolge per le vie cittadine il “Girone Infernale”: si tratta di un serpentone musicale che si snoda nelle vie del centro storico, seguito dalla popolazione, ballando tutti insieme Bisse e Curantun, i balli tradizionali del Carvè santhiateis. Si gustano dolci e zabaione, che accompagnano poi le maschere ai celebri veglioni carnevaleschi, dove si continua a far bagordi per tutta la notte.

Gavanati Edizione 2015

8 Febbraio 2016 - La Colossale Fagiolata: dalla “sveglia” alla “distribuzione”
Lo spettacolo simbolo della tradizione carnevalesca santhiatese è quello che rivive la mattina del lunedì, quando nella piazza del mercato vengono accesi i fuochi per la Colossale Fagiolata: 150 grandi caldaie di rame bollono fin dall'alba per preparare le circa 20.000 razioni di salame e fagioli che verranno distribuite alla cittadinanza. Per la preparazione della Fagiolata servono, oltre a 20 quintali di fagioli, anche 10 q. di salami e di pane, 1,5 q. di lardo tritato, 1,5 q. di cipolle fresche tritate, 750 foglie di alloro, 80 kg di sale grosso, il tutto innaffiato da ottimo vino. Una tradizione – anche dal punto di vista culinario - che si tramanda di padre in figlio.
Come si è detto nella parte iniziale di questo documento, chi non vive la fagiolata non sa cosa sia il Carnevale di Santhià! Alle 5 del mattino i Pifferi e Tamburi provvedono alla sveglia delle autorità carnevalesche addette alla erezione delle monumentali cucine da campo ed allaccensione dei fuochi a legna per la cottura della succulenta specialità. Le 150 caldaie di rame sono poi issate sui trespoli, riempite e condizionate a dovere dai cuochi, che si avvalgono della collaborazione di cinquanta tra fuochisti ed aiutanti.
Quindi, pochi minuti prima di mezzogiorno, previa benedizione del Parroco, attorno alle tavole che circondano la piazza, ricoperte con migliaia di scodelle, si attende con ansia l'inizio della distribuzione. Insieme a loro si aggiungono migliaia di commensali giunti dai vari centri del circondario. A mezzogiorno in punto gli attendenti e il comandante di piazza, al segno di un doppio sparo di fucile, iniziano la distribuzione alla popolazione del pane e del salame. Quindi ha inizio la “Fagiolata” vera e propria, la più grande d'Italia. A questo punto, i 300 camerieri, sotto la guida dei “capi-palina”, distribuiscono la dovuta razione di fagioli, che vengono versati nelle scodelle e nei recipienti di ogni tipo appoggiati sulle tavole. Pare impossibile a credersi, ma oltre 20.000 razioni delle popolari cibarie spariscono totalmente in meno di mezz’ora!

8 Febbraio 2016 – Secondo Corso Mascherato Sfilata Notturna

Alle ore 20 di lunedì inizia la suggestiva SFILATA NOTTURNA di carri e maschere, appositamente illuminati, che attraversano il Corso e le piazze principali della Città. La sfilata notturna è diventata ormai un appuntamento tradizionale. Terminata la sfilata, inizia un grande “veglione carnevalesco in maschera”, con ingresso delle maschere e dei gruppi musicali.


9 Febbraio 2016 - I “Giochi di Gianduja”

Martedì mattina la popolazione è impegnata ad assistere o a partecipare ai tradizionali “Giochi di Gianduja”, che si svolgono nelle vie del centro. Si tratta di giochi antichissimi, che rimandano alle tradizioni popolari medievali: la corsa nei sacchi, la rottura delle pignatte piene di farina o coriandoli, il tiro alla fune, il recupero della mela nella tinozza e tanti altri. A queste sfide sono contrapposte le compagnie carnevalesche, la banda cittadina e il corpo dei Pifferi e Tamburi.

9 Febbraio 2015 – Terzo Corso Mascherato
Alle ore 14,30 di martedì inizia il TERZO CORSO MASCHERATO, con la partecipazione alla sfilata lungo il percorso cittadino di maschere a piedi, carri allegorici, bande e gruppi storici. Al termine avviene la proclamazione dei vincitori delle varie categorie e la successiva premiazione.
Carro allegorico Edizione 2015

9 Febbraio 2016 - Il “Rogo del Babàciu”
Martedì sera il Carnevale si chiude con il Rogo del Babàciu, un pupazzo che viene appeso su una pira e poi bruciato, in piazza Maggiore. Tutta la popolazione assiste all'accensione del rogo che segna la fine del Carvè, fra il suono delle campane a lutto e le note di una marcia funebre, che si tramuta dopo poche note in una "monferrina" sfrenata, un ballo che dà spazio all'allegria.

3 Aprile 2016 – Una novità: la “Sfilata di Primavera”
Per la prima volta nella storia del Carnevale Storico di Santhià, nel 2016 verrà proposta una “Sfilata di primavera”, rigorosamente al di fuori del tempo quaresimale e quindi nel pieno rispetto della “tradizione carnevalesca” e dei tempi propri della religione cattolica. Con questa iniziativa si vuole non solo salutare la nuova stagione agricola e vegetativa, ma anche far conoscere la nostra manifestazione a quelle città che, nei giorni del Carnevale Tradizionale, non possono presenziare alle iniziative locali in quanto anch'esse impegnate nel loro Carnevale. Naturalmente anche questa sarà un’occasione per creare nuovi momenti di aggregazione sociale e culturale.

Grupia Edizione 2015