Ciao
Sara, partiamo da una domanda difficile, chi è uno scrittore oggi?
Uno scrittore oggi è qualcuno che
riesce a darci l’illusione di un “altro mondo”. Prima ci raccontavano storie
strabilianti, e questo bastava. Invece, oggi che le storie accadono ogni
giorno, abbiamo bisogno di un’alternativa a quello che vediamo. Lo scrittore ci
confeziona quest’alternativa. E se è davvero bravo ci affezioniamo ai suoi
universi, alle sue visioni.
Che
tipo di universo racconti nei tuoi libri?
Sono stati entrambi degli
esperimenti sulla musica. Alla musica ho sempre creduto di dovere tanto. Sono
una persona molto solitaria e il suono, le parole di alcune canzoni mi hanno
fatto molta compagnia negli anni. Nel primo libro, Solfeggio in abbandono (Arpeggio Libero Editore), ho lavorato molto
sul ritmo. Ho cercato di fare in modo che chi leggesse avvertisse proprio il
momento in cui le parole correvano e scivolavano via, e quello in cui tutto si
rallentava fino a galleggiare. E mentre scrivevo il primo pensavo già al
secondo, Ingoia la notte (Arpeggio
Libero Editore). In quest’ultimo libro, invece, la base musicale l’ho presa in
prestito da persone più in gamba di me a scrivere musica. Così ho ascoltato e
riascoltato alcune delle mie canzoni preferite, ad occhi chiusi e aperti.
Quando ascoltiamo una canzone per prima cosa ci concentriamo sui nostri
ricordi, ma poi, se ci sforziamo un po’ la musica ci suggerisce una storia. Io
ho scritto le storie che mi suggerivano quelle canzoni lì. Le canzoni che ho
ascoltato, tra l’altro, potete trovarle anche a fine libro in una Playlist per le giornate di pioggia, così
potete ascoltarle e chiudere gli occhi, e vedere se il mio immaginario e il
vostro coincidono oppure no.
Hai
scelto due titoli impegnativi, hanno un significato particolare?
Solfeggio
in abbandono sembra un titolo
nostalgico, ma lo è solo in apparenza. La verità è che l’ho scelto perché mi
restituiva un senso di leggerezza, di armonia di vivere, di un certo modo di
stare al mondo che è come la musica. Che corre veloce, che si ferma a prendere
respiro. Anche l’abbandono, non ha solo il significato di essere lasciati, o
restare da soli. Per me accoglie dentro di sé un grandissimo senso di libertà.
Se ci pensiamo bene, lasciarsi andare, abbandonarsi, è come galleggiare. È
bellissimo.
Ingoia
la notte ha un significato
completamente diverso, infatti è un titolo abbastanza duro. Il verbo ingoiare
può essere interpretato in tanti modi. Può indicare l’azione del nutrirsi, ma
anche quella di mandare giù qualcosa che non ci va. Inoltre, il verbo
all’imperativo mi faceva pensare a una cosa difficile, ma che dobbiamo fare lo
stesso. E la parola notte, beh, la notte ci attrae e spaventa.
Perché
qualcuno dovrebbe scegliere di leggere una raccolta di racconti e non un
romanzo?
In realtà non è una cosa che si
sceglie di fare. Ma una cosa che si sente. Le letture che ci accompagnano nelle
varie fasi della nostra vita sono sempre il riflesso di una qualche mancanza o
di un bisogno. Ci sono momenti in cui sentiamo la necessità di sederci, di ritagliare
del tempo per noi, di rallentare il ritmo. Questa è una cosa che si può fare
leggendo un romanzo. Perché è lungo, perché ci fa entrare nella storia a poco a
poco, ci fa affezionare ai personaggi. Ma non è sempre così. Molto spesso mi
capita di voler assaggiare delle storie. Di voler leggere qualcosa che mi
prenda, ma per un tempo finito. Mi piace la sensazione che mi lascia dopo:
leggi l’ultima parola di un racconto e resti un po’ così, metti ordine,
rifletti, ti ritrovi o no. È lo stesso effetto che mi procura guardare una
fotografia.
Il
prossimo libro è già in cantiere?
Sì, chi scrive ha sempre qualcosa
in forno. Sto lavorando a un romanzo. Prima o poi è una cosa che senti di fare.
Prendere del tempo, sederti e raccontare a lungo.
Ci
lasci con un assaggio di racconto?
Certo, questo è un pezzo tratto da La
cosa che so fare, un racconto scritto in memoria di John Bonham, l’ultimo
della raccolta Ingoia la notte.
“Tu sei stata la mia prima di tutto
Pat.
Com’eri bella stamattina. Distesa
tra i cuscini eleganti di quella stanza d’albergo. Sembravi a tuo agio. Forse
eri nata per la seta e invece io ti ho infilata a forza nel cotone duro dei
jeans.
Quando ci sposeremo la smetterò di
suonare. Te la ricordi la promessa? Si che te la ricordi. Questo è il tuo
cancro. Ricordare tutte le promesse che ti ho fatto negli anni.
Dormire lo sai fare così bene. Il
tuo corpo sotto la luce malata di Clewer mi ha fatto venire voglia di prendere
le bacchette e suonarti. I colpi morbidi contro le piccole curve della tua
carne sono gli ultimi suoni al mondo che vorrei sentire.
Mentre ti sfioravo con la punta
della bacchetta di legno hai aperto gli occhi e mi hai detto -sei bravo John-.
Io ti credo sempre quando me lo dici.
Quando me lo dicono gli altri
invece, diventa un’offesa. Quelli che mi dicono bravo, mi sembra che stiano
sempre lì a non averne abbastanza. Allora li immagino piangere rannicchiati in
certe stanzette buie. Alcune cose non riesco a farle scivolare, si impigliano.
-Quando la finiamo questa vita?-
Mi hai chiesto questa cosa mentre
sceglievi una brioche tra le altre disposte a piramide. La tenevi tra le dita
come se non fossi sicura di cosa farne. Ne staccavi un pezzo piccolo dopo
l’altro e lo riponevi nel piatto di ceramica poggiato sul vassoio.
Perché non mangi Pat. Davanti a me
non mangi mai.
Come se nutrirti fosse un compito
mio, ma senza cibo. E io a farlo diversamente non sono bravo.
D’istinto ho afferrato quei piccoli
pezzi strappati alla brioche e mi è venuta voglia di spingerteli a forza in
gola. Ma tu ti sei alzata dal letto, col lenzuolo pieno di briciole che
strisciava sul linoleum blu del pavimento.
Io ho stretto il pugno. Distruggo
sempre quello che potrebbe darti da mangiare.”
Dove
si possono trovare più informazioni su di te e sul tuo lavoro?
Sono presente sui social, ho un
blog su cui purtroppo non riesco a scrivere quanto vorrei: http://serrenett.iobloggo.com/ e un
sito internet: http://saramariaserafini.yolasite.com/.
A presto!
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