mercoledì 16 marzo 2016

A tu per tu con Ludovico Benigno, autore di Alice tra le bancarelle della Vucciria (Edizioni La Zisa) - Alberto Zuccalà



Palermitano, classe 1984, laureato in teorie e tecniche cinematografiche alla Sapienza di Roma, con un trascorso da attore di teatro e un futuro ancora tutto da “scrivere”.
Stiamo parlando di Ludovico Benigno, scrittore emergente, autore di Alice tra le bancarelle della Vucciria (Edizioni La Zisa), sua opera prima, prossimamente in libreria.

D: Parliamo innanzitutto un po’ di te: il tuo curriculum fino a qualche anno fa era quello di un attore di teatro, di aiuto regista... un uomo da palcoscenico insomma! Poi cosa è successo?

R: Si, è vero, per almeno 6-7 anni il teatro ha catalizzato tutto il mio tempo. Ho cominciato facendo alcuni laboratori teatrali nella mia città, finché non si è presentata l’occasione di entrare a far parte di una compagnia teatrale…

D: E poi? Cos’è successo?

R: E’ successo che dopo questa prima esperienza, che è durata circa due anni, sono passato a lavorare in un’altra compagnia, dove ho avuto modo di lavorare più stabilmente

D: Ma non è durata neppure questa volta?
R: Diciamo che in questo caso sono stati 5 anni molto intensi, umanamente inappagabili. Professionalmente, purtroppo, alcuni progetti sono rimasti incompiuti e dopo varie e tormentate vicissitudini prendersi una pausa è stata la cosa migliore per tutti. Ne ho approfittato per laurearmi, altrimenti non ci sarei mai riuscito!

D: Una pausa un po’ lunghetta mi sembra, tant’è che dura ancora mi pare…
R: Come dicevo prima ho pensato a laurearmi intanto, poi ho approfittato di questa pausa anche per dedicarmi ad un altro progetto, personale, che avevo in serbo da una vita…

D: E’ qui che arriviamo ad Alice?
R: Esatto.

R: Come nasce quest’idea, e da quanto tempo la cullavi?
D: L’idea di Alice nasce nel 2013, mentre quella di scrivere un libro la cullavo dai tempi del liceo…

D: Perché Alice ma, soprattutto, perché cimentarsi nella riscrittura di un classico della letteratura mondiale…non lo trovi un po’ rischioso?
R: Sinceramente no; c’è una tradizione molto importante nella storia della letteratura e della drammaturgia italiana legata a questa maniera di scrivere e poi, come ci ha insegnato Petrolini, l’arte sta nel deformare.
Ad ogni modo, senza voler scomodare nessun illustre precedente, ritengo che quello che conta, all’origine di ogni progetto, è l’idea. Bisogna avere una buona idea e cercare di svilupparla e darle forma senza alcuna remissione. E “rassegnarsi” …

D: Rassegnarsi?
R: Si, rassegnarsi! Rassegnarsi al fatto che l’idea subirà mille variazioni sul tema, che la metterai in discussione continuamente in fase di svolgimento, che certi giorni ti renderà orgoglioso, certi altri un po’ meno… L’importante, però, è non perderla mai di vista. Se ciò accade, si vede che l’idea è quella giusta… e ne varrà sempre la pena di impegnarsi per esprimerla al meglio!

D: Molto bene. Il passaggio dal Paese delle Meraviglie alla Vucciria, invece, è stato traumatico?
R: No, affatto. Palermitano io, palermitana la protagonista, squisitamente palermitano il contesto. Giocavo in casa dai!

D: Neanche un pochino?  
R: Assolutamente no. Il tessuto urbano della Vucciria, nel cuore del centro storico palermitano, a mio avviso si prestava benissimo ad una lettura del genere, poi i fatti di cronaca locale mi hanno dato molti spunti per dar corpo alla storia, agevolandone la connotazione spaziale del romanzo, una serie di aneddoti – romanzati quel tanto che basta per rendere più sfiziosa la trama! – ha costituito un’altra preziosa fonte di ispirazione e, infine, la mia fantasia ha fatto il resto.

D: Quindi Alice va per questo mondo fantastico, che trae però inevitabilmente spunto dalla realtà circostante. Non c’è il pericolo di cadere nello stereotipo?
R: Magari fossero solamene stereotipi certe cose…





D: Cioè?
R: Oramai, ci si appella allo stereotipo ogniqualvolta si parla male di certe realtà. Come se certe piaghe sociali fossero solamente un’invenzione. E’ un atteggiamento dietro al quale si cela un certo vittimismo che mi irrita. Lo stereotipo è figlio del luogo comune, del pregiudizio alle volte, e spesso è da condannare quando si usa come strumento di conoscenza della realtà, poiché ci si appella aprioristicamente, senza logica e criterio d’indagine. Il discorso è diverso invece quando si prende spunto dalla cronaca, dai fatti – e misfatti – che effettivamente si perpetuano nella comunità, proprio come raccontavo poco prima di aver fatto durante la stesura del mio romanzo: in questo caso, tirare in ballo lo stereotipo è inopportuno e chi lo fa, ama giocare il ruolo della vittima. Preferisco prendere invece coscienza di una realtà che stenta a cambiare il suo corso, ricamandoci sopra un universo speculare che, anche a volerci fantasticare su, arranca nel prendere le distanze da ciò che vorrebbe fuggire.

D: Insomma, questa Vucciria esiste ancora oggi?
R: Esiste, ma non più nelle sue bancarelle, quelle che Alice cerca disperatamente. Esiste nella sua fatiscenza e in una dannazione che definirei grottesca e drammatica allo stesso tempo. Esiste non tanto nei personaggi che prendono vita all’interno del romanzo, piuttosto nel degrado che li circonda. Un degrado in cui ci si ostina ancora oggi a cercare un’emozione da cogliere: non “grazie”, ma nonostante una certa realtà.

D: E’ una metafora della vita?
R: Nulla di tutto ciò, nessuna morale, nessuna metafora. E’ una condizione esistenziale che non ci si scrolla di dosso neppure a volersi inventare un mondo nuovo.

D: Una lucida e severa presa di coscienza dunque… nei confronti di chi si odia o di chi si ama?
R: Palermo si odia e si ama insieme, non ammette mezze misure: soltanto odiarla non puoi, a meno che tu non la sappia, oppure non la voglia capire, vivendola superficialmente e con pregiudizio (quello vero!), d’altro canto, amarla “e basta” risulta altrettanto improbabile, se non apatico, poiché tipico di chi la vive con la stessa superficialità di chi la odia, accettandone passivamente tutto il marciume che la deturpa.




D: E tu come vivi questa dicotomia “inevitabile”?
R: Nella maniera più consapevole possibile.
“Quanto si mangia bene a Palermo e la spiaggia di Mondello” non possono, e non devono, essere la consolazione per tutto ciò che, invece, caratterizza “l’altra faccia della medaglia”. Se, da una parte, c’è tanto di bello, riconosciuto ed apprezzato nel mondo, perché deve coesistere, in mezzo a tanto splendore, un lato oscuro che ne sfregia e compromette continuamente la bellezza?
Proprio per questo da palermitano, che non rinnega ma che, semmai, rivendica la sua appartenenza a questa martoriata realtà, non potrei mai odiare la mia città se non in misura di quanto l’amo.

D: Chiarissimo.
Ti ringrazio Ludovico… e in bocca al lupo!
R: Crepi! …e grazie a te.

3 commenti:

  1. come si può pensare di ricavare qualcosa ancora oggi di ciò che non c'è più, perché si sono portati via non solo il suo cadavere ma anche e soprattutto l'Anima del più Storico Mercato di Palermo…!!!
    ancora oggi assistiamo alla imperterrita insistenza a volere ritrarre la Vucciria e ancora peggio di volere emergere con essa, come in questo caso da ogni mancanza di realtà vissuta di quando invece la Vucciria ancora esisteva, come è possibile biasimarla o esaltarla se non esiste questo Paragone…???
    non è possibile poterla immaginare nel suo contesto naturale di almeno sessanta anni fa, con i suoi Abitanti, la sua Parrocchia, le sue Tende a protezione del sole, u Purparu, u Fruttaiolu, u Verduraio, u Macellaiu, u Pisciaiolu, u Panillaru, u Stigghiulariu, u Contrabbanieri, u Borsaiolu, u Vastiddaru, l'Erbaiolu, u Pasticcieri, a Taviarna, a Banniata, i Balati Vagnati…..e i me Parianti…!!!
    (Salvatore Di Blanda)

    RispondiElimina
  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  3. come si può pensare di ricavare qualcosa ancora oggi di ciò che non c'è più, perché si sono portati via non solo il suo cadavere ma anche e soprattutto l'Anima del più Storico Mercato di Palermo…!!!
    ancora oggi assistiamo alla imperterrita insistenza a volere ritrarre la Vucciria e ancora peggio di volere emergere con essa, come in questo caso da ogni mancanza di realtà vissuta di quando invece la Vucciria ancora esisteva, come è possibile biasimarla o esaltarla se non esiste questo Paragone…???
    non è possibile poterla immaginare nel suo contesto naturale di almeno sessanta anni fa, con i suoi Abitanti, la sua Parrocchia, le sue Tende a protezione del sole, u Purparu, u Fruttaiolu, u Verduraio, u Macellaiu, u Pisciaiolu, u Panillaru, u Stigghiulariu, u Contrabbanieri, u Borsaiolu, u Vastiddaru, l'Erbaiolu, u Pasticcieri, a Taviarna, a Banniata, i Balati Vagnati…..e i me Parianti…!!!
    (Salvatore Di Blanda)

    RispondiElimina