Palermitano,
classe 1984, laureato in teorie e tecniche cinematografiche alla Sapienza di Roma, con un trascorso da
attore di teatro e un futuro ancora tutto da “scrivere”.
Stiamo parlando
di Ludovico Benigno, scrittore emergente, autore di Alice tra le bancarelle della Vucciria (Edizioni La Zisa), sua opera
prima, prossimamente in libreria.
D: Parliamo
innanzitutto un po’ di te: il tuo curriculum fino a qualche anno fa era quello
di un attore di teatro, di aiuto regista... un uomo da palcoscenico insomma!
Poi cosa è successo?
R: Si, è vero,
per almeno 6-7 anni il teatro ha catalizzato tutto il mio tempo. Ho cominciato
facendo alcuni laboratori teatrali nella mia città, finché non si è presentata
l’occasione di entrare a far parte di una compagnia teatrale…
D: E poi? Cos’è
successo?
R: E’ successo
che dopo questa prima esperienza, che è durata circa due anni, sono passato a
lavorare in un’altra compagnia, dove ho avuto modo di lavorare più stabilmente
D: Ma non è durata
neppure questa volta?
R: Diciamo che
in questo caso sono stati 5 anni molto intensi, umanamente inappagabili.
Professionalmente, purtroppo, alcuni progetti sono rimasti incompiuti e dopo
varie e tormentate vicissitudini prendersi una pausa è stata la cosa migliore
per tutti. Ne ho approfittato per laurearmi, altrimenti non ci sarei mai
riuscito!
D: Una pausa un
po’ lunghetta mi sembra, tant’è che dura ancora mi pare…
R: Come dicevo
prima ho pensato a laurearmi intanto, poi ho approfittato di questa pausa anche
per dedicarmi ad un altro progetto, personale, che avevo in serbo da una vita…
D: E’ qui che
arriviamo ad Alice?
R: Esatto.
R: Come nasce
quest’idea, e da quanto tempo la cullavi?
D: L’idea di
Alice nasce nel 2013, mentre quella di scrivere un libro la cullavo dai tempi
del liceo…
D: Perché Alice
ma, soprattutto, perché cimentarsi nella riscrittura di un classico della
letteratura mondiale…non lo trovi un po’ rischioso?
R: Sinceramente
no; c’è una tradizione molto importante nella storia della letteratura e della
drammaturgia italiana legata a questa maniera di scrivere e poi, come ci ha
insegnato Petrolini, l’arte sta nel
deformare.
Ad ogni modo, senza
voler scomodare nessun illustre precedente, ritengo che quello che conta,
all’origine di ogni progetto, è l’idea. Bisogna avere una buona idea e cercare
di svilupparla e darle forma senza alcuna remissione. E “rassegnarsi” …
D: Rassegnarsi?
R: Si,
rassegnarsi! Rassegnarsi al fatto che l’idea subirà mille variazioni sul tema, che
la metterai in discussione continuamente in fase di svolgimento, che certi
giorni ti renderà orgoglioso, certi altri un po’ meno… L’importante, però, è
non perderla mai di vista. Se ciò accade, si vede che l’idea è quella giusta… e
ne varrà sempre la pena di impegnarsi per esprimerla al meglio!
D: Molto bene.
Il passaggio dal Paese delle Meraviglie alla
Vucciria, invece, è stato traumatico?
R: No, affatto.
Palermitano io, palermitana la protagonista, squisitamente palermitano il
contesto. Giocavo in casa dai!
D: Neanche un
pochino?
R: Assolutamente
no. Il tessuto urbano della Vucciria, nel cuore del centro storico palermitano,
a mio avviso si prestava benissimo ad una lettura del genere, poi i fatti di
cronaca locale mi hanno dato molti spunti per dar corpo alla storia,
agevolandone la connotazione spaziale del romanzo, una serie di aneddoti –
romanzati quel tanto che basta per rendere più sfiziosa la trama! – ha
costituito un’altra preziosa fonte di ispirazione e, infine, la mia fantasia ha
fatto il resto.
D: Quindi Alice
va per questo mondo fantastico, che trae però inevitabilmente spunto dalla
realtà circostante. Non c’è il pericolo di cadere nello stereotipo?
R: Magari
fossero solamene stereotipi certe cose…
D: Cioè?
R: Oramai, ci si
appella allo stereotipo ogniqualvolta si parla male di certe realtà. Come se
certe piaghe sociali fossero solamente un’invenzione. E’ un atteggiamento
dietro al quale si cela un certo vittimismo che mi irrita. Lo stereotipo è
figlio del luogo comune, del pregiudizio alle volte, e spesso è da condannare
quando si usa come strumento di conoscenza della realtà, poiché ci si appella
aprioristicamente, senza logica e criterio d’indagine. Il discorso è diverso
invece quando si prende spunto dalla cronaca, dai fatti – e misfatti – che
effettivamente si perpetuano nella comunità, proprio come raccontavo poco prima
di aver fatto durante la stesura del mio romanzo: in questo caso, tirare in
ballo lo stereotipo è inopportuno e chi lo fa, ama giocare il ruolo della
vittima. Preferisco prendere invece coscienza di una realtà che stenta a
cambiare il suo corso, ricamandoci sopra un universo speculare che, anche a
volerci fantasticare su, arranca nel prendere le distanze da ciò che vorrebbe
fuggire.
D: Insomma,
questa Vucciria esiste ancora oggi?
R: Esiste, ma
non più nelle sue bancarelle, quelle che Alice cerca disperatamente. Esiste
nella sua fatiscenza e in una dannazione che definirei grottesca e drammatica
allo stesso tempo. Esiste non tanto nei personaggi che prendono vita all’interno
del romanzo, piuttosto nel degrado che li circonda. Un degrado in cui ci si
ostina ancora oggi a cercare un’emozione da cogliere: non “grazie”, ma
nonostante una certa realtà.
D: E’ una
metafora della vita?
R: Nulla di
tutto ciò, nessuna morale, nessuna metafora. E’ una condizione esistenziale che
non ci si scrolla di dosso neppure a volersi inventare un mondo nuovo.
D: Una lucida e
severa presa di coscienza dunque… nei confronti di chi si odia o di chi si ama?
R: Palermo si
odia e si ama insieme, non ammette mezze misure: soltanto odiarla non puoi, a
meno che tu non la sappia, oppure non la voglia capire, vivendola
superficialmente e con pregiudizio (quello vero!), d’altro canto, amarla “e
basta” risulta altrettanto improbabile, se non apatico, poiché tipico di chi la
vive con la stessa superficialità di chi la odia, accettandone passivamente
tutto il marciume che la deturpa.
D: E tu come
vivi questa dicotomia “inevitabile”?
R: Nella maniera
più consapevole possibile.
“Quanto si
mangia bene a Palermo e la spiaggia di Mondello” non possono, e non devono,
essere la consolazione per tutto ciò che, invece, caratterizza “l’altra faccia
della medaglia”. Se, da una parte, c’è tanto di bello, riconosciuto ed
apprezzato nel mondo, perché deve coesistere, in mezzo a tanto splendore, un
lato oscuro che ne sfregia e compromette continuamente la bellezza?
Proprio
per questo da palermitano, che non rinnega ma che, semmai, rivendica la sua
appartenenza a questa martoriata realtà, non potrei mai odiare la mia città se
non in misura di quanto l’amo.
D: Chiarissimo.
Ti ringrazio
Ludovico… e in bocca al lupo!
R: Crepi! …e
grazie a te.
come si può pensare di ricavare qualcosa ancora oggi di ciò che non c'è più, perché si sono portati via non solo il suo cadavere ma anche e soprattutto l'Anima del più Storico Mercato di Palermo…!!!
RispondiEliminaancora oggi assistiamo alla imperterrita insistenza a volere ritrarre la Vucciria e ancora peggio di volere emergere con essa, come in questo caso da ogni mancanza di realtà vissuta di quando invece la Vucciria ancora esisteva, come è possibile biasimarla o esaltarla se non esiste questo Paragone…???
non è possibile poterla immaginare nel suo contesto naturale di almeno sessanta anni fa, con i suoi Abitanti, la sua Parrocchia, le sue Tende a protezione del sole, u Purparu, u Fruttaiolu, u Verduraio, u Macellaiu, u Pisciaiolu, u Panillaru, u Stigghiulariu, u Contrabbanieri, u Borsaiolu, u Vastiddaru, l'Erbaiolu, u Pasticcieri, a Taviarna, a Banniata, i Balati Vagnati…..e i me Parianti…!!!
(Salvatore Di Blanda)
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RispondiEliminacome si può pensare di ricavare qualcosa ancora oggi di ciò che non c'è più, perché si sono portati via non solo il suo cadavere ma anche e soprattutto l'Anima del più Storico Mercato di Palermo…!!!
RispondiEliminaancora oggi assistiamo alla imperterrita insistenza a volere ritrarre la Vucciria e ancora peggio di volere emergere con essa, come in questo caso da ogni mancanza di realtà vissuta di quando invece la Vucciria ancora esisteva, come è possibile biasimarla o esaltarla se non esiste questo Paragone…???
non è possibile poterla immaginare nel suo contesto naturale di almeno sessanta anni fa, con i suoi Abitanti, la sua Parrocchia, le sue Tende a protezione del sole, u Purparu, u Fruttaiolu, u Verduraio, u Macellaiu, u Pisciaiolu, u Panillaru, u Stigghiulariu, u Contrabbanieri, u Borsaiolu, u Vastiddaru, l'Erbaiolu, u Pasticcieri, a Taviarna, a Banniata, i Balati Vagnati…..e i me Parianti…!!!
(Salvatore Di Blanda)