Che cos’è “un cerchio perfetto”?
Citando il protagonista del mio stesso romanzo: “La vita è un cerchio perfetto, che riporta sempre tutto al suo originario equilibrio, che conduce al punto di rottura solo per poter ricominciare”.
Forse sono troppo giovane per parlare di un “senso della vita”, ma posso comunque definirlo il “senso del mio racconto”.
Descrivi in breve di cosa parla il tuo romanzo.
Len Holland ha tredici anni quando gli viene diagnosticato il disturbo bipolare e diciannove quando inizia a raccontare la propria caduta e ascesa: prima con frammenti di un diario che racchiude un viaggio di cinque anni attraverso mania, depressione, mostri interiori e reali; successivamente, parlando direttamente col lettore, mostra gli anni successivi in lotta contro se stesso, la ricerca di una felicità e di una normalità, fino all’epilogo.
Cosa ti ha principalmente dato l’ispirazione per la scrittura di questo libro?
Sono sempre stata attratta dallo studio della psichiatria e dei disturbi mentali, tant’è che spesso, quando frequentavo l’università, mi fermavo in libreria a leggere saggi e manuali al riguardo; sono stati quei libri, oltre ad una mia esperienza personale, ad ispirarmi questa storia.
Hai citato una tua “esperienza personale”. La domanda è quindi d’obbligo: quanto c'è della tua vita vera in questo romanzo? Perché?
Oddio, della mia vita vera in questo romanzo c’è davvero poco. Principalmente le scenette comiche tra Elle e Liam, quelle sì che le ho tratte dalla mia vita quotidiana!
Tuttavia, come ho già detto, la base di questo romanzo è una mia esperienza, anche abbastanza “triste”: durante l’università ho conosciuto una persona con il disturbo bipolare e sono stata al suo fianco per parecchi mesi. Sarò crudele magari, ma è stato un inferno. Probabilmente una delle parentesi peggiori della mia vita. Non ero una persona forte all’epoca, anzi, ero stupida e ingenua, perciò è stato molto difficile conviverci.
Partendo da ciò che ho vissuto io ho sviluppato questa storia, ampliandola ulteriormente con le mie conoscenze tratte dallo studio di altri romanzi dedicati al disturbo bipolare e vari saggi sull’argomento.
Per descrivere Len a chi ti sei riferita nella vita reale? Esiste o è frutto della tua fantasia?
Len è in parte reale e in parte fantasia. E’ una proiezione di quella persona conosciuta all’università, e di tutti i casi letti nei saggi. Ognuno mi ha colpita singolarmente, e ho provato a dar loro carattere e forma in un unico personaggio. In minima (davvero minima) parte è anche me.
È un personaggio confuso, caotico, insicuro, fragile; troppo debole per reagire e provare a rialzarsi senza appoggiarsi a qualcuno. Tant’è che commette proprio lui i veri errori che decidono il finale.
Perché hai scelto proprio la città di Verona come ambientazione?
Verona è una città che ho amato a prima vista. L’ho visitata anni fa, ma è marchiata a fuoco nella mia testa. L’ho preferita ad altre città per l’atmosfera che respiravo, leggermente malinconica, tiepida, colorata di arancio. Inoltre ha delle strade lunghe e senza veri punti di riferimento in cui (almeno per me!) è facile perdersi, e mi era indispensabile per l’incontro di Len e Danielle.
A quale pubblico si rivolge il tuo romanzo? Potrà sembrare strano, ma il mio libro si rivolge ai ragazzi. Mi spiego: frequento molti social, da Facebook a Tumblr, a Twitter e altri, e ovunque è impressionante notare quanti adolescenti, soprattutto ragazzi dai dodici ai sedici anni, si considerino “depressi”, “malati”, “bipolari” e pratichino su loro stessi l’autolesionismo. Molti, purtroppo, sono solo ragazzi soli che non hanno trovato maniera migliore di questa per unirsi ad un “branco” e avere un minimo di attenzione. Sottovalutano quello che è davvero questa malattia, quanto sia invalidante, quanto sia difficile conviverci e quanto può essere pericolosa. Non penso che il mio romanzo sia abbastanza crudo da traumatizzarli, ma credo che il personaggio di Len sia abbastanza debole, triste e “patetico” da poter suscitare in loro un senso di disagio che possa invogliarli ad allontanarsi da quelli che sono i suoi comportamenti; inoltre le esperienze raccontate da Len stesso e il punto di vista del gemello Liam, che svolge il ruolo di tutore/infermiere, possono essere un ulteriore incentivo a non imitarlo. Il pubblico di questa storia, pertanto, sono proprio loro.
Citando il protagonista del mio stesso romanzo: “La vita è un cerchio perfetto, che riporta sempre tutto al suo originario equilibrio, che conduce al punto di rottura solo per poter ricominciare”.
Forse sono troppo giovane per parlare di un “senso della vita”, ma posso comunque definirlo il “senso del mio racconto”.
Descrivi in breve di cosa parla il tuo romanzo.
Len Holland ha tredici anni quando gli viene diagnosticato il disturbo bipolare e diciannove quando inizia a raccontare la propria caduta e ascesa: prima con frammenti di un diario che racchiude un viaggio di cinque anni attraverso mania, depressione, mostri interiori e reali; successivamente, parlando direttamente col lettore, mostra gli anni successivi in lotta contro se stesso, la ricerca di una felicità e di una normalità, fino all’epilogo.
Cosa ti ha principalmente dato l’ispirazione per la scrittura di questo libro?
Sono sempre stata attratta dallo studio della psichiatria e dei disturbi mentali, tant’è che spesso, quando frequentavo l’università, mi fermavo in libreria a leggere saggi e manuali al riguardo; sono stati quei libri, oltre ad una mia esperienza personale, ad ispirarmi questa storia.
Hai citato una tua “esperienza personale”. La domanda è quindi d’obbligo: quanto c'è della tua vita vera in questo romanzo? Perché?
Oddio, della mia vita vera in questo romanzo c’è davvero poco. Principalmente le scenette comiche tra Elle e Liam, quelle sì che le ho tratte dalla mia vita quotidiana!
Tuttavia, come ho già detto, la base di questo romanzo è una mia esperienza, anche abbastanza “triste”: durante l’università ho conosciuto una persona con il disturbo bipolare e sono stata al suo fianco per parecchi mesi. Sarò crudele magari, ma è stato un inferno. Probabilmente una delle parentesi peggiori della mia vita. Non ero una persona forte all’epoca, anzi, ero stupida e ingenua, perciò è stato molto difficile conviverci.
Partendo da ciò che ho vissuto io ho sviluppato questa storia, ampliandola ulteriormente con le mie conoscenze tratte dallo studio di altri romanzi dedicati al disturbo bipolare e vari saggi sull’argomento.
Per descrivere Len a chi ti sei riferita nella vita reale? Esiste o è frutto della tua fantasia?
Len è in parte reale e in parte fantasia. E’ una proiezione di quella persona conosciuta all’università, e di tutti i casi letti nei saggi. Ognuno mi ha colpita singolarmente, e ho provato a dar loro carattere e forma in un unico personaggio. In minima (davvero minima) parte è anche me.
È un personaggio confuso, caotico, insicuro, fragile; troppo debole per reagire e provare a rialzarsi senza appoggiarsi a qualcuno. Tant’è che commette proprio lui i veri errori che decidono il finale.
Perché hai scelto proprio la città di Verona come ambientazione?
Verona è una città che ho amato a prima vista. L’ho visitata anni fa, ma è marchiata a fuoco nella mia testa. L’ho preferita ad altre città per l’atmosfera che respiravo, leggermente malinconica, tiepida, colorata di arancio. Inoltre ha delle strade lunghe e senza veri punti di riferimento in cui (almeno per me!) è facile perdersi, e mi era indispensabile per l’incontro di Len e Danielle.
A quale pubblico si rivolge il tuo romanzo? Potrà sembrare strano, ma il mio libro si rivolge ai ragazzi. Mi spiego: frequento molti social, da Facebook a Tumblr, a Twitter e altri, e ovunque è impressionante notare quanti adolescenti, soprattutto ragazzi dai dodici ai sedici anni, si considerino “depressi”, “malati”, “bipolari” e pratichino su loro stessi l’autolesionismo. Molti, purtroppo, sono solo ragazzi soli che non hanno trovato maniera migliore di questa per unirsi ad un “branco” e avere un minimo di attenzione. Sottovalutano quello che è davvero questa malattia, quanto sia invalidante, quanto sia difficile conviverci e quanto può essere pericolosa. Non penso che il mio romanzo sia abbastanza crudo da traumatizzarli, ma credo che il personaggio di Len sia abbastanza debole, triste e “patetico” da poter suscitare in loro un senso di disagio che possa invogliarli ad allontanarsi da quelli che sono i suoi comportamenti; inoltre le esperienze raccontate da Len stesso e il punto di vista del gemello Liam, che svolge il ruolo di tutore/infermiere, possono essere un ulteriore incentivo a non imitarlo. Il pubblico di questa storia, pertanto, sono proprio loro.
A che età hai iniziato a scrivere?
Scrivo da quando ho memoria, in realtà. Credo di aver iniziato in terza elementare, un anno dopo che mi fu regalato il mio primo libro… scrivevo poesiole e raccontini infantili, già allora sognavo di scrivere libri. Vinsi anche qualche concorso letterario. Quella con la scrittura è una storia d’amore andata avanti per anni, un po’ altalenante come tutte, ma piena d’affetto.
Parlando di concorsi, hai mai vinto qualche premio?
Sì, un primo premio in un concorso regionale di poesia quand’ero più ragazzina e un paio di secondi e terzi posti (sempre in concorsi di poesia); poi due anni fa ho partecipato alle selezioni del programma Rai “Masterpiece”, proprio con “Un cerchio perfetto” che fu scelto insieme ad altri duecento su duemila inviati.
Chi sono i tuoi autori di riferimento?
Uno su tutti: Stefano Benni. Il mio grandissimo idolo, l’autore che vorrei essere. Mi ispiro a lui nei concetti e nelle idee principalmente, ovvero cerco di raccontare, attraverso le mie storie, un’idea o un pensiero che metta radici nel cuore del lettore. La letteratura è la forma più alta di comunicazione, per me, e vorrei far riflettere e pensare il lettore, esattamente come fa Benni.
Hai qualche altro lavoro in cantiere?
Sì, sto lavorando ad altri due romanzi contemporaneamente. Non so quanto tempo ci vorrà, né quando li finirò, ma saranno “fratelli” di questo mio primo libro. Uno sarà molto più crudo di questo, non adatto ai più giovani ma rimarrà comunque in tema psicologico; l’altro è più “leggero” e divertente. Nonostante siano molto diversi, mi stanno facendo impegnare alla stessa maniera!
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