lunedì 25 gennaio 2016

Intervista a Roberta Magliocca, autrice di "Portami a vedere i treni" - Alberto Zuccalà





Ciao Roberta, scrittrice – giornalista – editor – caporedattrice – suonatrice di Tammorra. Chi sei?
Tutte queste cose e nessuna di esse. Mi piacerebbe dire che sono diventata giornalista per passione, per una vocazione che fin da piccola mi ha accompagnata. Non è così. Sono diventata giornalista perchè ad un certo punto della mia vita mi sono resa conto che con la penna sapevo farci, che ciò che scrivevo veniva letto con piacere ed interesse. E così, per niente sicura, molto incerta mi sono inserita in questo mondo dal quale – oggi – è impensabile uscire. Sono diventata, poi, editor e caporedattrice dopo un percorso intrapreso con dei miei colleghi universitari che ci ha portato a fondare nel 2012, Eroica Fenice un giornale online. Un’esperienza che ancora oggi spiega appieno ciò che sono. La tammora, beh, quella è pura energia. Suonare un tamburo, suonare le canzoni della mia terra, quello è amore, è radici secolari di quercia, è sentire il ritmo del proprio cuore ad ogni colpo. Una tammorra non la si può spiegare, la si può solo ascoltare, la si può solo vivere.

Da qualche giorno è uscito “Portami a Vedere i Treni”, tuo secondo libro edito dalla Senso Inverso Edizioni. Ti andrebbe di parlarcene?
Portami a vedere i treni parla di Giulio, malato di Alzheimer. Giulio non sa che la figlia Margherita aspetta due gemelli, nè ricorda che in passato rinnegò il figlio Marcello. Un'improvvisa parentesi di lucidità lo mette faccia a faccia con quest'ultimo: un incontro che avviene dopo venticinque anni di rottura e silenzi. La vita, nel suo percorso paradossale, offre ai due l'occasione di un chiarimento proprio quando le tenebre della malattia stanno portando oscurità. "Portami a vedere i treni" fotografa uno spaccato della vita di Giulio, seguito con amore nei suoi sbalzi d'umore, nelle sue fissazioni, nel suo vuoto. Ci parla di due uomini, delle loro sofferenze, della loro umanità.


Cosa c’è di te in questo libro?
Anche qui, tutto e niente. Portami a vedere i treni è una storia inventata ma che racconta i luoghi della mia vita, le persone della mia vita, le tragedie della mia vita. Ho perso una zia nel 1994, che ci ha lasciato dando vita a due gemelli, i miei tesori. Mia nonna materna proprio in quegli anni cominciava ad ammalarsi di Alzheimer, malattia che l’ha accompagnata per un decennio. Io ero solo una bambina, capii poco. Solo oggi, a quasi trent’anni capisco quanto tutto questo abbia influito sulle vicende della mia famiglia. Mia nonna dimenticava ogni giorno la sua storia, ogni giorno un po’. L’affanno per farle ricordare la sua vita faceva soffrire noi, ma ancor di più confondeva lei. Ecco, Portami a vedere i treni è una seconda opportunità. Dare a mia nonna la vita che credeva di avere senza che qualcun altro gli dicesse la realtà, che era realtà per noi, non più per lei. Anche perchè la sua storia sono i suoi figli, i suoi nipoti, io la racconterò per ricordarla, la racconterò sempre. Così per mia zia. Ho pochi ricordi, ma parlerò di lei fino a quando avrò possibilità di dire e di raccontare.

Progetti futuri?
Questo devi chiederlo all’Italia. Perchè io ho scelto una strada e la sto percorrendo. Sto studiando, sto lavorando tanto, i miei genitori mi stanno sostenendo economicamente e psicologicamente. L’Italia, a questo punto, dovrebbe venirmi incontro. Dovrebbe riconoscermi la fatica, le delusioni e i successi. Lei dovrebbe accorgersi di me.

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