mercoledì 13 gennaio 2016

Giulia, in arte Ju Jumble nell'arena del tendone - Alberto Zuccalà






D: Beh, inizierei dalle domande di rito, parlaci un po’ di te, chi sei, da dove vieni?
R: Ciao, sono Giulia, in arte Ju Jumble e vengo dalla provincia di Milano, più precisamente da Legnano.

D: Ju Jumble… da dove viene questo soprannome?
R: In realtà è venuto spontaneamente. Se dovessi pensare ad un nome d’arte ex novo, così, dal nulla credo proprio che non ci riuscirei. Fin da piccola mi hanno sempre chiamata Ju, quindi mi ci identifico. Jumble in inglese significa accozzaglia, caos. Credo sia una parola che mi rappresenti molto. Non riesco infatti a definirmi una pittrice, scultrice, o appartenente ad una “classe” creativa. Spazio molto nei vari ambiti, mi piace scoprire. Ultimamente lavoro molto con l’acquerello, il digitale, e mi sono innamorata perdutamente dell’animazione, e spero che presto che diventi un amore corrisposto ;)

D: Quindi sei un’artista. Facciamo un salto indietro, da quando hai iniziato ad approcciarti a questo mondo?
R: Fin da che ho memoria. Ero una bambina parecchio pestifera e combinavo parecchi disastri.  Quando i miei genitori hanno visto che matite colorate, pennarelli, pongo e simili erano un ottimo calmante, me li mettevano sempre a disposizione. Da lì non mi sono più fermata. Crescendo è diventata una passione enorme e ho deciso di impostare gli studi su questa via, dal liceo fino all’accademia che frequento tutt’oggi. Vorrei fare della creatività il mio lavoro. “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche un giorno in tutta la tua vita”. Credo molto in questa frase. Certo, non è un ambito facile, ma credo che chiunque si impegni e abbia passione possa farcela.

D: Sei una sognatrice insomma. Qual è l’ultimo progetto a cui stai lavorando?
R: Decisamente si, sono cresciuta durante la generazione Disney, e su di me ha avuto un effetto piuttosto forte. Confesso che tutt’ora amo rispolverare le vecchie cassette e fare maratone di questi grandi classici. Per ora sto lavorando principalmente al progetto di tesi, un lavoro abbastanza particolare, di cui non voglio rivelare ancora nulla. In più sto sperimentando tanto con l’animazione e il digitale. Invento personaggi, e cerco di dare loro vita, una personalità, un’anima.



D: C’è una domanda che ti fanno più spesso riguardante i tuoi lavori?
R: In realtà si, mi chiedono spesso come ho imparato a disegnare. La risposta credo sia molto personale, ognuno ha un suo metodo alla fine. Per quanto mi riguarda è stata fondamentale l’osservazione della realtà e l’allenamento costante. Disegnare è una questione di testa e di mano. Devono lavorare in perfetta sincronia.

D: C’è un lavoro del passato invece al quale sei più legata?
R: Si, il titolo è “Standing”. L’ho realizzato per un concorso indetto dall’accademia in collaborazione con Nescafè. Volevo fare qualcosa che riavvicinasse il pubblico al mondo dell’arte, soprattutto quella moderna, spesso incompresa, che sto ahimè notando che si emancipa sempre di più. Il lavoro ha avuto una buona presa sul pubblico, vederlo curioso, disinibito e partecipe nel relazionarsi con l’opera era il successo più grande che potessi sperare. Si divertivano, sorridevano ed era una sensazione meravigliosa.

D: In cosa consiste questo lavoro?
R: Il concorso è partito associando ad ogni studente una capsula differente di caffè. A me è toccato l’espresso. Il più semplice. Caffè, punto. Potrebbe sembrare addirittura banale in effetti, ed è proprio questa banalità che ha fatto scattare l’idea. Il caffè nelle nostre giornate è diventato parte integrante della routine, lo prendiamo senza quasi rendercene più conto, senza assaporarlo davvero. Una piccola cosa nascosta nella giornata, fatta in automatismo e dimenticata. Allora ho immaginato un caffè al giorno (di media). 365. Ho creato 365 sculture, ognuna da un chicco di caffè. Li ho personificati uno per uno, mettendogli braccia e gambe, permettendogli di stare in piedi da soli. Presi singolarmente quasi non li vedi nemmeno. Ma poi li ho uniti. Li ho messi in fila, in protesta. Ebbene, la fila misurava 8 metri. Così grandi, importanti, nel loro essere piccoli. Volevo che richiamassero l’attenzione all’importanza delle piccole cose, e sono orgogliosa di dire che ci sono riusciti. Le persone quasi inciampavano non vedendoli, ma una volta che se ne accorgevano si incuriosivano e si chinavano al loro livello, guardandoli, giocandoci, scoprendoli. Ci vuole coraggio ad abbassarsi per essere all’altezza di qualcuno.

D: Una grande soddisfazione immagino! Passiamo al lato più social, hai un link ad una pagina, un sito dove è possibile trovare i tuoi lavori?
R: Si, ho una pagina Facebook, Ju Jumble, dove posto un po’ tutto e dove chiunque voglia sapere qualcosa di più può contattarmi. 


Vi aspetto!


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