lunedì 26 ottobre 2015

L'artista Mariella Costa ci racconta "come un sasso è divenuto una dea" - Alberto Zuccalà





Era un'uggiosa domenica di novembre come tante, uno strano richiamo non mi faceva godere della morbidezza della mia poltrona, dovevo assolutamente recarmi sul fiume. La pioggia scendeva e il vento faceva ondeggiare i pioppi ai lati dell' alveo del fiume stesso, all'improvviso l'ho vista dal finestrino della macchina, era lei, occultata nel suo pesante involucro. Ho fatto arrestare l'auto e mi sono recata per osservarla da vicino, incurante della pioggia che scendeva tra le mie ciglia e solcava il mio volto. Il suo colore era di un marrone bronzato che a contatto con l'acqua appariva quasi ramato. Ho cercato di sollevarla, mentre mio marito cercava di dissuadermi dicendomi che saremmo tornati il giorno successivo a recuperarla. Non potevo lasciarla, sentivo quasi delle vibrazioni e percepivo che il fiume si sarebbe ingrossato e magari l'avrebbe trascinata lontano. Non è stato facile trasportarla sotto la pioggia, con il vento che mi scompigliava i capelli e la sua pesantezza eccessiva. Vedevo già i tratti del suo arcaico viso e l'ho lavorata d'istinto, in un tempo incredibilmente breve, come se avessi dovuto solo aiutarla ad uscire, ad emergere dalla sua millenaria prigione. La lucidatura esaltava i suoi zigomi e le sue palpebre. Poteva considerarsi ultimata, ma la mano ha ripreso a lavorare quasi trascinata da una forza misteriosa, non decodificabile da noi piccoli esseri umani. Ho tracciato dei segni decisi sulle sue gote, quasi delle pitture tribali. E' stato allora che sfinita, mi sono seduta di fronte a lei ad osservarla o forse era lei ad osservarmi dall'alto della sua gelida aria di superiorità divina. Mi sono disamorata subito, anzi l'ho rifiutata, come se il frutto di quell'amore sfrenato nato sul greto del fiume si fosse esaurito nell'atto della sua creazione. Non bastava che chi l'osservava mi dicesse che era bellissima. La odiavo e basta ed ho continuato a farlo per un anno, finché non l'ho portata in mostra ed ho visto i visitatori letteralmente rapiti dal suo volto senza tempo, che ci riportava indietro fino alle origini dell'uomo stesso. Ho imparato pian piano ad amarla di nuovo, a viverla serenamente. Non bisogna dimenticare che è una Dea venuta da un umile sasso. E' la mia "Divinità azteca". Sono tornata tante volte nel fiume, non ho più sentito il richiamo, non ho più percepito quelle strane vibrazioni, non ho più trovato una pietra di tale bellezza.
Qualche volta, se lo vorrete, vi racconterò il proseguo della strana storia di un umile sasso divenuto una Dea. (Mariella Costa)

P.S. Voglio specificare che ho molto rispetto per la natura, è stata l'unica volta che ho preso un sasso dal fiume perchè non ho potuto resistergli, in genere le pietre che lavoro mi vengono donate da chi conosce la mia passione, oppure le prendo in terreni privati che hanno bisogno di essere ripuliti dalle pietre per favorire la coltivazione di ortaggi o frutta.


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