lunedì 12 ottobre 2015

Daniela Lojarro e il suo romanzo "Fahryon - Il Suono Sacro di Arjiam" - Alberto Zuccalà



1.       Raccontaci qualcosa di te: chi è Daniela Lojarro nella vita di tutti i giorni? Una scrittrice, ma non solo…
Sono una donna appassionata e passionale che vive sempre tutto sulla sua pelle. Ho avuto il dono della voce che ho potuto sviluppare grazie all’appoggio dei miei genitori e di mio marito che mi hanno sostenuto nelle mie scelte di carriera e repertorio. Non è stato facile e scogli ne ho trovati sul mio cammino artistico da superare e di tutte le dimensioni: ho lavorato sodo per raggiungere gli obiettivi che desideravo. La tensione che si creava in teatro, però, e sentire che riuscivo a catturare gli appassionati, a coinvolgerli ha sempre ripagato le ore di studio e anche tutte le cattiverie e malignità che negli ambienti di lavoro competitivi si devono ingoiare. L’affetto con cui i fans ancora oggi mi scrivono e mi contattano testimonia che certi legami restano nel tempo e nonostante la lontananza. Dal palcoscenico e dalla vita “raminga” del cantante lirico sempre in giro sui palcoscenici di tutto il mondo in questi ultimi anni sono passata alla musico-terapia: altra strada, altro modo di “usare” il mio talento. Questo cambiamento ha significato anche un nuovo periodo di studio nel quale mi sono buttata a capofitto sostituendo note e libretti d’Opera con elenchi di organi, muscoli, ossa, patologie dell’orecchio, malattie del sistema immunitario … . Ora, sono i progressi dei bambini nello sviluppo della lingua e della comunicazione oppure delle persone anziane che tornano a provar gioia nella conversazione e nel comunicare a ripagarmi di questa metamorfosi. Coltivo sempre e comunque la passione per la musica (mi esibisco ancora in concerti), la lettura, i viaggi, la cucina (tra un capitolo e l’altro o tra una seduta di terapia e l’altra sforno torte, pizze, lasagne …).

2.       Una vita trascorsa tra l’armonia della musica. Hai vinto concorsi di canto, ti sei esibita in ogni parte del globo. Questo è il primo romanzo che pubblichi?
Questo è il primo romanzo, la prima avventura editoriale.

3.       Veniamo al libro, “Fahryon”, GDS edizioni. Com’è nata l’idea?
Fin da bambina amavo scrivere storie, quasi sceneggiature, che poi mettevo in scena con le mie amichette. Il desiderio di scrivere, però, si è manifestato imperiosamente durante un periodo di pausa che mi ero concessa per capire su quale strada volevo incamminarmi poiché girare il mondo per cantare iniziava a starmi stretto. Un’estate nelle Marche, precisamente nella Gola del Furlo, fui folgorata da un’idea: usare quella galleria scavata nella roccia, quella antica strada romana a picco sul torrente e rinchiusa fra pareti ripide come un passaggio per un altro mondo. E così è stato. Quella notte e nei giorni successivi la storia, i personaggi principali si sono come manifestati diventando sempre più netti e “obbligandomi” a scrivere. Ho usato non a caso il verbo “obbligare”. Per un musicista l’unico vero linguaggio universale è quello della Musica, superiore a qualunque lingua: io ho combattuto con me stessa per decidermi a usare le “parole”. Poi, ho capito che Scrittura e Musica non sono mondi distinti, separati: entrambi nascono dall'ascolto, dall'impulso e dal desiderio di comunicare/rsi. Cantare o far musica è cercare di conferire alle note quel colore che possa trasmettere il movimento dell'animo che sta alla base del pensiero creativo del compositore a chi ascolta. Scrivere è cercare la parola, fra tutte quelle che usiamo abitualmente nelle relazioni sociali, capace di suscitare nel lettore la vibrazione legata all'emozione come se la stesse vivendo o rivivendo. Per questo in entrambi i casi è un lavoro di rifinitura, di attenzione e di tensione (nel senso del divenire del tendere a qualcosa) fino a che non ho trovato la risonanza che mi pare più consona, l'accordo che fa vibrare che mette in risonanza scrittore e lettore. Giuseppe Verdi a proposito dei libretti delle sue opere, sui quali faceva letteralmente impazzire il malcapitato poeta di turno, soleva dire: «Io ho bisogno della parola scenica. Per parola scenica io intendo dire la parola che scolpisce e rende netta ed evidente la situazione».

4.       Il romanzo appartiene al genere fantasy. Ci racconti di che cosa parla?
Nel regno di Arjiam, Fahryon, neofita dell'Ordine sapienziale dell'Uroburo, e Uszrany, cavaliere dell'Ordine militare del Grifo, si trovano coinvolti nello scontro tra gli adepti dell'Armonia e della Malia, due forme di magia che si contendono il dominio sulla vibrazione del Suono Sacro. Le difficoltà con cui saranno messi a confronto durante la lotta per il possesso di un magico cristallo e del trono del regno, permetteranno ai due giovani di crescere e di diventare consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità in questa guerra per il potere sul mondo e sugli uomini. I due giovani, quindi, si trovano a fronteggiare nemici e ambienti totalmente differenti: Fahryon si muove nell’ambito della magia legata alle vibrazioni del Suono Sacro e quindi su un piano spirituale intriso di esoterismo; Uszrany, invece, come Cavaliere, rappresenta la parte epica del romanzo con duelli, intrighi politici e guerre civili. A fare da tramite fra questi due mondi c’è l’affascinante nobile Mazdraan: un tempo Magh, ora Primo Cavaliere del regno di Arjiam che tiene le fila del complotto politico ma anche di quello “magico”. 

5.       Qual è il target a cui ti rivolgi? Che tipo di lettori ambisci a conquistare?
Lettrici e lettori che desiderano lasciarsi trasportare dalla magia delle emozioni e al tempo stesso amino riflettere, cercare il significato che si nasconde dietro le parole e i simboli della storia. Chiunque sia desideroso di mettersi in gioco, di cambiare. 

6.       Quanto ti ha coinvolto intimamente la stesura di questo romanzo? C’è qualcosa di autobiografico, oltre al fatto che il Suono è sempre messo al centro?
Ogni autore cela qualcosa di sé nella storia e nei personaggi. Cesare Pavese diceva: «Scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che venga poi scoperto». I personaggi del mio libro nascono dall’osservazione di persone colte nella quotidianità in sinergia con la rielaborazione di emozioni, impressioni e ricordi personali. Abituata al lavoro in teatro, nello scrivere mi sono identificata in tutti. Per ogni frase o pensiero, ho sempre cercato di mettermi nei panni di quel personaggio e di farlo agire secondo la sua personalità, la sua condizione sociale e psicologica e per il fine che si proponeva di raggiungere, caratterizzandolo anche con espressioni mimiche o tic nervosi che possono apparire in momenti di tensione emotiva. 

7.       Per scrivere questo libro hai dovuto svolgere delle ricerche?
Non ho svolto delle ricerche per il semplice motivo che avevo letto di tutto e di più sui fenomeni acustici, sui miti cosmogonici legati al Suono come Motore Primo, sui simboli delle tradizioni esoteriche, sull’architettura sacra, sull’archeologia, sulla fisica delle onde acustiche, sul sufismo, sulla meditazione con i cristalli … Insomma, posso dire che nel romanzo sono confluiti anni e anni di letture e quasi senza che me ne rendessi conto. Senza dubbio, gli studi del fisico tedesco Chladni sugli effetti del suono sulla materia sono stati quello che più mi hanno influenzata nel pensare al Suono come principio creatore che dà forma e vita al mondo di Arjiam. 

8.       C’è qualche messaggio particolare che speri di comunicare attraverso questo romanzo o prevale l’intento di intrattenere?
Il fantasy classico, come del resto l’espressione artistica in generale, non è solo una lettura d’evasione. L’arte ha da sempre un effetto catartico: il lettore o lo spettatore, identificandosi con il protagonista, partecipa delle sue emozioni, dei suoi dolori, delle sue gioie, vivendo le sue avventure, le sue scoperte, i momenti tristi e lieti traendone spunti di riflessione su se stesso e sulla società, maturando. Come un’importante tradizione ormai ci ha dimostrato, da G. Jung alla M. von Franz, ogni storia, ogni mito, ogni favola, anche la più assurda e lontana dalla realtà, tratta dell’umanità e dei suoi problemi universali, offre esempi di soluzione delle difficoltà in un linguaggio che arriva direttamente oltre ogni barriera logica. Attraverso i personaggi e le scelte che compiono confrontandosi con il mondo, ho voluto parlare dei grandi temi dell’amicizia, dell’amore, della lealtà, dell’impegno individuale e della responsabilità verso la società e l’universo in cui viviamo. Non si tratta di vincere o perdere ma di comprendere che la vita è un cammino in continuo divenire, soggetto a grandi rivolgimenti. L’importante, come diceva Samuel Beckett è «Fallire – Provare di nuovo – Fallire ancora – Fallire meglio».

9.       Il finale chi l’ha deciso? Tu o i tuoi personaggi?
Fin da subito avevo in mente la “scena” che volevo avere alla fine ma come dovesse essere risolta la situazione … No, sono stati i personaggi stessi a svelarmelo e me lo hanno tenuto nascosto fino alla fine lasciandomi con il fiato sospeso e ad arrovellarmi nel dubbio!

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