1. Raccontaci qualcosa di te: chi è Daniela Lojarro nella vita di tutti i giorni? Una scrittrice, ma non solo…
Sono una donna
appassionata e passionale che vive sempre tutto sulla sua pelle. Ho avuto il
dono della voce che ho potuto sviluppare grazie all’appoggio dei miei genitori
e di mio marito che mi hanno sostenuto nelle mie scelte di carriera e
repertorio. Non è stato facile e scogli ne ho trovati sul mio cammino artistico
da superare e di tutte le dimensioni: ho lavorato sodo per raggiungere gli
obiettivi che desideravo. La tensione che si creava in teatro, però, e sentire
che riuscivo a catturare gli appassionati, a coinvolgerli ha sempre ripagato le
ore di studio e anche tutte le cattiverie e malignità che negli ambienti di
lavoro competitivi si devono ingoiare. L’affetto con cui i fans ancora oggi mi
scrivono e mi contattano testimonia che certi legami restano nel tempo e
nonostante la lontananza. Dal palcoscenico e dalla vita “raminga” del cantante
lirico sempre in giro sui palcoscenici di tutto il mondo in questi ultimi anni
sono passata alla musico-terapia: altra strada, altro modo di “usare” il mio
talento. Questo cambiamento ha significato anche un nuovo periodo di studio nel
quale mi sono buttata a capofitto sostituendo note e libretti d’Opera con
elenchi di organi, muscoli, ossa, patologie dell’orecchio, malattie del sistema
immunitario … . Ora, sono i progressi dei bambini nello sviluppo della lingua e
della comunicazione oppure delle persone anziane che tornano a provar gioia
nella conversazione e nel comunicare a ripagarmi di questa metamorfosi. Coltivo
sempre e comunque la passione per la musica (mi esibisco ancora in concerti),
la lettura, i viaggi, la cucina (tra un capitolo e l’altro o tra una seduta di
terapia e l’altra sforno torte, pizze, lasagne …).
2.
Una
vita trascorsa tra l’armonia della musica. Hai vinto concorsi di canto, ti sei
esibita in ogni parte del globo. Questo è il primo romanzo che pubblichi?
Questo è il
primo romanzo, la prima avventura editoriale.
3.
Veniamo
al libro, “Fahryon”, GDS edizioni. Com’è nata l’idea?
Fin da bambina amavo scrivere
storie, quasi sceneggiature, che poi mettevo in scena con le mie amichette. Il
desiderio di scrivere, però, si è manifestato imperiosamente durante un periodo
di pausa che mi ero concessa per capire su quale strada volevo incamminarmi poiché
girare il mondo per cantare iniziava a starmi stretto. Un’estate nelle Marche,
precisamente nella Gola del Furlo, fui folgorata da un’idea: usare quella
galleria scavata nella roccia, quella antica strada romana a picco sul torrente
e rinchiusa fra pareti ripide come un passaggio per un altro mondo. E così è
stato. Quella notte e nei giorni successivi la storia, i personaggi principali
si sono come manifestati diventando sempre più netti e “obbligandomi” a
scrivere. Ho usato non a caso il verbo “obbligare”. Per un musicista l’unico
vero linguaggio universale è quello della Musica, superiore a qualunque lingua:
io ho combattuto con me stessa per decidermi a usare le “parole”. Poi, ho capito
che Scrittura e Musica non
sono mondi distinti, separati: entrambi nascono dall'ascolto, dall'impulso e
dal desiderio di comunicare/rsi. Cantare o far musica è cercare di conferire
alle note quel colore che possa trasmettere il movimento dell'animo che sta
alla base del pensiero creativo del compositore a chi ascolta. Scrivere è
cercare la parola, fra tutte quelle che usiamo abitualmente nelle relazioni
sociali, capace di suscitare nel lettore la vibrazione legata all'emozione come
se la stesse vivendo o rivivendo. Per questo in entrambi i casi è un lavoro di
rifinitura, di attenzione e di tensione (nel senso del divenire del tendere a
qualcosa) fino a che non ho trovato la risonanza che mi pare più consona,
l'accordo che fa vibrare che mette in risonanza scrittore e lettore. Giuseppe
Verdi a proposito dei libretti delle sue opere, sui quali faceva letteralmente
impazzire il malcapitato poeta di turno, soleva dire: «Io ho bisogno della
parola scenica. Per parola scenica io intendo dire la parola che scolpisce e
rende netta ed evidente la situazione».
4.
Il
romanzo appartiene al genere fantasy. Ci racconti di che cosa parla?
Nel regno di
Arjiam, Fahryon, neofita dell'Ordine sapienziale dell'Uroburo, e Uszrany,
cavaliere dell'Ordine militare del Grifo, si trovano coinvolti nello scontro
tra gli adepti dell'Armonia e della Malia, due forme di magia che si contendono
il dominio sulla vibrazione del Suono Sacro. Le difficoltà con cui saranno
messi a confronto durante la lotta per il possesso di un magico cristallo e del
trono del regno, permetteranno ai due giovani di crescere e di diventare
consapevoli del loro ruolo e delle loro responsabilità in questa guerra per il
potere sul mondo e sugli uomini. I due giovani, quindi, si trovano a
fronteggiare nemici e ambienti totalmente differenti: Fahryon si muove
nell’ambito della magia legata alle vibrazioni del Suono Sacro e quindi su un
piano spirituale intriso di esoterismo; Uszrany, invece, come Cavaliere,
rappresenta la parte epica del romanzo con duelli, intrighi politici e guerre
civili. A fare da tramite fra questi due mondi c’è l’affascinante nobile
Mazdraan: un tempo Magh, ora Primo Cavaliere del regno di Arjiam che tiene le
fila del complotto politico ma anche di quello “magico”.
5.
Qual
è il target a cui ti rivolgi? Che tipo di lettori ambisci a conquistare?
Lettrici e lettori che desiderano
lasciarsi trasportare dalla magia delle emozioni e al tempo stesso amino
riflettere, cercare il significato che si nasconde dietro le parole e i simboli
della storia. Chiunque sia desideroso di mettersi in gioco, di cambiare.
6.
Quanto
ti ha coinvolto intimamente la stesura di questo romanzo? C’è qualcosa di autobiografico,
oltre al fatto che il Suono è sempre messo al centro?
Ogni autore cela qualcosa di sé
nella storia e nei personaggi. Cesare Pavese diceva: «Scrivere è sempre
nascondere qualche cosa in modo che venga poi scoperto». I personaggi del mio
libro nascono dall’osservazione di persone colte nella quotidianità in sinergia
con la rielaborazione di emozioni, impressioni e ricordi personali. Abituata al
lavoro in teatro, nello scrivere mi sono identificata in tutti. Per ogni frase
o pensiero, ho sempre cercato di mettermi nei panni di quel personaggio e di
farlo agire secondo la sua personalità, la sua condizione sociale e psicologica
e per il fine che si proponeva di raggiungere, caratterizzandolo anche con
espressioni mimiche o tic nervosi che possono apparire in momenti di tensione
emotiva.
7.
Per
scrivere questo libro hai dovuto svolgere delle ricerche?
Non ho svolto delle ricerche per
il semplice motivo che avevo letto di tutto e di più sui fenomeni acustici, sui
miti cosmogonici legati al Suono come Motore Primo, sui simboli delle
tradizioni esoteriche, sull’architettura sacra, sull’archeologia, sulla fisica
delle onde acustiche, sul sufismo, sulla meditazione con i cristalli … Insomma,
posso dire che nel romanzo sono confluiti anni e anni di letture e quasi senza
che me ne rendessi conto. Senza dubbio, gli studi del fisico tedesco Chladni
sugli effetti del suono sulla materia sono stati quello che più mi hanno
influenzata nel pensare al Suono come principio creatore che dà forma e vita al
mondo di Arjiam.
8.
C’è
qualche messaggio particolare che speri di comunicare attraverso questo romanzo
o prevale l’intento di intrattenere?
Il fantasy classico, come del
resto l’espressione artistica in generale, non è solo una lettura d’evasione.
L’arte ha da sempre un effetto catartico: il lettore o lo spettatore,
identificandosi con il protagonista, partecipa delle sue emozioni, dei suoi
dolori, delle sue gioie, vivendo le sue avventure, le sue scoperte, i momenti
tristi e lieti traendone spunti di riflessione su se stesso e sulla società,
maturando. Come un’importante tradizione ormai ci ha dimostrato, da G. Jung
alla M. von Franz, ogni storia, ogni mito, ogni favola, anche la più assurda e
lontana dalla realtà, tratta dell’umanità e dei suoi problemi universali, offre
esempi di soluzione delle difficoltà in un linguaggio che arriva direttamente oltre
ogni barriera logica. Attraverso i personaggi e le scelte che compiono
confrontandosi con il mondo, ho voluto parlare dei grandi temi dell’amicizia,
dell’amore, della lealtà, dell’impegno individuale e della responsabilità verso
la società e l’universo in cui viviamo. Non si tratta di vincere o perdere ma
di comprendere che la vita è un cammino in continuo divenire, soggetto a grandi rivolgimenti. L’importante,
come diceva Samuel Beckett è «Fallire – Provare di nuovo – Fallire ancora –
Fallire meglio».
9.
Il
finale chi l’ha deciso? Tu o i tuoi personaggi?
Fin da subito avevo in mente la
“scena” che volevo avere alla fine ma come dovesse essere risolta la situazione
… No, sono stati i personaggi stessi a svelarmelo e me lo hanno tenuto nascosto
fino alla fine lasciandomi con il fiato sospeso e ad arrovellarmi nel dubbio!
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