sabato 2 maggio 2015

Flavia Faragli nel blog del tendone - Alberto Zuccalà




Flavia Faragli, quando hai deciso per la prima volta di scrivere una poesia?
Non c’è stata una vera prima volta, ho sempre scritto i miei pensieri, ho sempre trasformato in parole le mie emozioni, magari non mettendole su carta tutte le volte, ma l’istinto di esprimere i miei sentimenti in frasi di senso compiuto mi accompagna dalla mia nascita.

Che sensazione provi quando scrivi?
La sensazione che predomina sulle altre è sicuramente quella della liberazione. Scrivo quando sono triste, quando sono felice, quando sono amareggiata, quando sono arrabbiata, scrivo perché ne ho bisogno, perché il foglio è il mio confidente, scrivo per sfogarmi, per compiacermi, scrivo per capirmi e per essere capita. Insomma scrivo per necessità!
Quando hai deciso di rendere pubblici i tuoi scritti?
Ho deciso di pubblicare i miei scritti, dopo aver ricevuto pressioni varie da parte di familiari ed amici che in un modo o nell’altro erano arrivati a leggere le miei poesie. Dopo giorni passati a fare “sondaggi” tra conoscenti ho deciso che poteva essere valida l’idea di condividere i miei scritti.

Ti è mai capitato di avere un’idea e poi dimenticarla?
Questo mi capita quasi tutti i giorni, come già detto per me ricostruire e ricompattare le mie emozioni in frasi di senso compiuto è un’inclinazione naturale, è un istinto ed in quanto tale è una cosa che faccio periodicamente anche solo nella mia testa, ed ovviamente qualche idea brillante mi è sfuggita e mi sfuggirà.




Qual è l’ultima cosa che pensi dopo aver finito di scrivere?
Sinceramente?! L’ultima cosa che penso è :” e mo che titolo gli do?”.  A parte i scherzi il più grande problema è proprio il titolo in quanto è per me innaturale dover riassumere in una sola parola la valanga di cosa che le susseguiranno.

E per finire, quale è il tuo scritto preferito?
Sono un po’ indecisa, dovendo sceglierne uno:

Politica(MENTE)

Sornioni li vedi che parlan contenti
Siedon tranquilli con carne nei denti
Trattano fatti e finte verità
Con carrozze blu girano in città
Animali fortunati e privilegiati 
Si trastullano e vengono pagati
Fiori di quattrini in tasca portano
Sono quelli che le necessità scartano
Non gli si chiede nessuna formazione
Ma solo un’adeguata maleducazione
Con la più totale assenza di coscienza
Son capaci di fare della vita una scienza
Vivono in ricchezza e senza aver pietà
Tolgon la speranza e danno povertà
I meno fortunati, indignati, gli gridan:“INDECENTI!”
Ma a loro, solo la parola concedon i POTENTI

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