– Chi è Samantha?
Una donna, una mamma, un’insegnante, una scrittrice,
un’amica, una moglie. Non necessariamente sempre tutto in quest’ordine.
– Se dovessi
scegliere che età avere per sempre, quale sceglieresti?
Sceglierei i quarant’anni. Pieni, tondi, stracolmi di
entusiasmo. I vent’anni sono stati decisivi e anche molto instabili. Ho avuto
mio figlio a ventidue anni che ha sconvolto in maniera meravigliosa i miei piani,
ma non stravolgendoli del tutto. Da quel momento l’esperienza si è trasformata
in qualche ruga che non nascondo e qualche filo bianco che però tingo
accuratamente.
– A cosa non hai mai
rinunciato?
A rincorrere i miei sogni.
– preferisci scrivere
al mattino o alla sera?
Scrivo al mattino presto. Amo la quiete. Il caffè bollente e
lungo che fuma nella tazza. I miei personaggi di solito dopo brevi incontri
notturni e qualche dialogo rimangono fino al mattino e nel silenzio della casa
riesco a intrappolarli sulla carta.
– Piccole manie, ogni
scrittore ne ha una, qual è la tua?
Il rumore dei tasti. Devono produrre un determinato suono altrimenti non entro in trance. Il
primo portatile avevo una melodia quando le dita rimbalzavano da una lettera
all’altra. Aveva anche un nome Briciolo perché ci mangiavo sopra ed era pieno
di scricchiolii.
– Cosa scrivi?
Non ho un genere preferito. Mi attira molto il noir per
quella caratterizzazione dei personaggi in relazione al loro “dentro”. Mi piace
l’introspezione e la psicologia del personaggio.
– Qual è stato il tuo
primo lavoro?
Ho sperimentato la poesia come suggestione dell’animo, ho
scritto il mio romanzo e poi sono approdata ai racconti prima brevi, poi
lunghi.
– C’è un racconto a
cui sei legata?
Cordone, vincitore del Premio Città di Colonna, la Tridacna
XI edizione.
– Com’è nata l’idea
del tuo romanzo?
E’ nata in un pomeriggio d’estate quando ripensando a una
storia vissuta in università, la protagonista si è materializzata davanti a me.
Ha cominciato a rimanere anche a cena e quando si è accampata dentro casa ho capito
che dovevo scrivere di lei e della sua storia.
– Di cosa parla?
Nina è una studentessa di fisica, facoltà non scelta da lei
ma dal padre, fisico a sua volta. Lei era molto brava per cui non le era
difficile vivere tra numeri e formule ma quello che le mancava era l’approvazione
di quel padre. Ogni giorno andava all’università senza entusiasmo. Il padre voleva
che andasse in America per realizzare un progetto che lui non aveva potuto
realizzare da giovane perché si era sposato. Nina non ha un sogno. Non li sa
formulare. Senza madre e con un padre legato solo ai voti incontra Michele.
Ricercatore universitario che invece mastica più sogni che cibo. Lui cambierà
qualcosa in Nina e lei cambierà qualcos’altro in lui. Intorno a loro girano
Marco migliore amico di Michele e Audrey segretamente innamorata di Michele.
Tutti attendono qualcosa. Chi la troverà?
– Quanto tempo ci hai
messo?
Circa tre anni. Ho scritto prima una parte del romanzo poi
l’ho lasciato tutto alle ortiche e in un secondo momento quando i personaggi
erano tutti chiari ho cominciato a scrivere di nuovo. Non avevo in mente
nessuna scaletta se non il finale. La storia si è mostrata da sola, mi ha
trascinato dentro.
– A quale personaggio
sei maggiormente legata?
Michele il coprotagonista che insieme a Nina si trova ad
affrontare equilibri nuovi, non sempre facili ma determinanti per crescere.
– E’ un romanzo rosa?
No. Parla di sogni, di vita. Di caos. Di relazioni non
sempre facili. Ci si addentra nei sentimenti cercando di viverli come meglio si
può. Non si idealizza nulla. Chi è incapace di amare cerca di riscattarsi, ma
non sempre ci riesce.
– Una stagione, un
colore, una città.
L’inverno perché adoro il freddo, il viola, Roma.
– In che città si
ambienta il tuo romanzo?
Torino anche se risulta un romanzo a-spaziale e a-temporale.
Lo scorrere del tempo è percepibile ma il tempo e la città non sono personaggi.
L’università e gli interni delle case sembrano essere i luoghi del romanzo a
dispetto di città e vie.
–Pregi e difetti del
tuo carattere.
Sono testarda, non mollo anche se sembro gettare la spugna,
sono una tosta. Difetti: sono permalosa e troppo esigente con me stessa.
– L’amore in Ti
aspetto cosa rappresenta?
Rappresenta la voglia di abbracciare l’altro, ma anche la
confusione di perdersi, la paura di scoprire la verità, l’attesa.
– E in te cosa
rappresenta l’amore?
Mi piace svegliarmi al mattino e trovare l’altra parte,
sapere che c’è fisicamente prima che con le parole. Poter contare sulla
condivisione delle cose belle e delle cose non belle. Ho amato anche se con
l’amore è arrivata anche la caduta.
– Aspetti ancora
l’amore?
Sì. Penso di averlo solo sfiorato. Arriverà.
– Cosa cambieresti
del tuo carattere e cosa no?
Non cambierei niente. Sono imperfetta, discontinua, animata
da un sano caos che non cambierei con nient’altro.
– Un sogno.
Uno solo? Veder anche il secondo romanzo Boe di salvataggio, ambientato nella mia
terra d’origine la Sicilia, in libreria perché il sogno
di ogni scrittore è essere letto, comunicare, lasciare nel lettore qualcosa. Un
seme che poi germoglia.
– Se dovessi
scegliere una frase che rappresenta il tuo romanzo Ti aspetto?
Dove finiscono i sogni
quando finalmente abbiamo imparato a sognarli?
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