lunedì 18 gennaio 2016

Intervista a Giulia Paciotti, "Al primo posto sempre la musica" - Alberto Zuccalà




Ciao Giulia! Chi sei e cosa fai nella vita?
Ciao! :) Felice di presentarmi! Sono Giulia Paciotti, ho 25 anni, sono nata e vivo a Roma. Studio al Dass (Arti e Scienze dello Spettacolo a La Sapienza), ma al primo posto non posso fare a meno di mettere sempre la musica.

Suoni?
Ho preso lezioni di pianoforte, qualche anno fa, ma la mia attività principale è il canto. Seguo lezioni di canto da qualche anno, ma canto praticamente da sempre!

Come ha avuto inizio questo amore?
Sì, un vero e proprio amore, così profondo che non ne ricordo l'inizio. Semplicemente c'è sempre stato. Ai miei piace ricordare quando da piccola andavo sul balcone di casa e cantavo a squarciagola il ritornello di “Sei bellissima” di Loredana Bertè. Mi hanno raccontato anche un aneddoto molto particolare: quando partiva la lavatrice, io iniziavo a dondolare seguendo il ritmo della centrifuga. Sentivo la musica ovunque!



Allora qual'è la tua storia da cantante? Raccontaci cosa hai fatto questi anni.
Beh prima di tutto la mia esperienza inizia con il coro di Silvano Polidori, il mio primo maestro. Ci ha portati ovunque a cantare, dalle strade di Roma, a programmi televisivi quali “Uno mattina” e “Scommettiamo che...” con Fabrizio Frizzi, fino al Festival delle Piccole Stelle D'Europa, in cui ho vinto con una canzone inedita. Poi ho fatto alcune audizioni, e di coro in coro sono arrivata a quello che per me era il top, il coro di Voci Bianche del Santa Cecilia collaborando anche con il Teatro dell'Opera per Turandot alle Terme di Caracalla. Siamo stati al Festival dei due mondi di Spoleto con Carmina Burana e tanti concerti all'Auditorium: Berlioz, Beethoven, Bizet... Un'esperienza unica e indimenticabile, la musica classica fa parte di me prima di ogni altro genere.
Poi ho cominciato a prendere lezioni di canto e da quel momento ho sentito il bisogno di intraprendere la carriera da solista.
Ho iniziato con un gruppo di musica italiana, canzoni dagli anni '70 a oggi, riarrangiate in chiave moderna. Poi per mille motivi ci siamo sciolti. Come succede spesso, ognuno prende la sua strada. É stato bello, ma era solo l'inizio. :)

E adesso?
Adesso ho diversi progetti attualmente.
Ho un duo acustico voce-chitarra. Rivisitiamo e reinterpretiamo canzoni sul genere pop/rock, che è quello che sento davvero mio.
Sto sperimentando da un anno un nuovo genere che mi ha rapito il cuore dalla prima volta che l'ho ascoltato, per caso, ad una serata tra amici: la musica irlandese. Ha preso posto nella mia vita all'improvviso, come un colpo di fulmine, o come lo chiamiamo con la mia band, gli Irish Popcorn, "la febbre del folk" :)
Nella musica c'è sempre voglia di provare e calarsi in ogni parte, sperimentarne le varietà e le caratteristiche, così mi metto in gioco ogni volta che ce ne è occasione, perchè anche quando si interpreta un pezzo, lo si rende proprio e quindi unico.
Ci sono altri progetti, ma sono ancora in cantiere...



Hai anche altre passioni?
Sì, scrivo. Ho libri, fogli, appunti ovunque. Mi piace l'arte in ogni forma. Mi piace osservare, commentare, andare al cinema, al teatro, sotto il palco e sul palco. Scrivo recensioni di spettacoli teatrali, concerti, mostre... E sto iniziando a scrivere pezzi miei. Direi che è arrivato il momento!

Giulia è stato un piacere! Noi ti auguriamo buona fortuna e a questo punto lasciamo qui alcuni link per chi vuole ascoltare la tua voce e seguirti.




venerdì 15 gennaio 2016

Intervista a Cristina Guarducci, scrittrice talento del romanzo "Malefica luna di Agosto" (Fazi editore) - Alberto Zuccalà





Cosa potresti dire  per invogliarci  a  leggere il tuo ultimo romanzo?
Che è un romanzo divertente, molto ironico e perfino cattivello, però nello stesso tempo  anche poetico. Si svolge durante i tre giorni di luna piena di uno dei miei mesi preferiti, l’agosto,  in un posto di mare un po’ selvaggio,  e parla degli intrighi , degli odi e degli amori, che si scatenano tra due famiglie di cugini a causa di un’eredità. E a causa  dell’apparizione di un personaggio fuori norma, Gaddo, uomo bellissimo, ma anche mostruoso, dalle ali di pipistrello e dalla vita sregolata.  

È dunque un genere di scrittura che si avvicina al fantasy ?
No, appunto, l’elemento fantastico esiste ed è importante, ma le relazioni tra le persone  sono realistiche,  parlano di problemi e di drammi  che accadono in tutte le famiglie. Le descrizioni della natura così come i sentimenti che agitano i miei personaggi non hanno niente di immaginario. Certamente ci sono delle parti decisamente oniriche, come un magico volo tra le nuvole che unisce due amanti, ma tutto questo si inserisce nel nostro mondo reale.

Perché hai scelto di esprimerti adoperando elementi fantastici ?
Non credo che scegliamo di scrivere in un certo modo piuttosto che in un altro, è la scrittura che ci sceglie, e per me è sempre stato naturale raccontare storie con personaggi  tratti dal mondo mitologico e fiabesco, che  mi avevano tanto affascinato nell’infanzia  -e pure adesso devo dire-  perché rappresentano il mistero della vita, l’imponderabile, l’imprevisto, con cui abbiamo a che fare, che lo si voglia o no, ogni giorno.

Anche il tuo primo romanzo “Mitologia di Famiglia” raccontava di una famiglia disfunzionale e popolata di mostri, questo tema ti sta a cuore?
Penso di si, visto che vengo da una tipica famiglia italiana, molto numerosa, inesauribile fonte di avvenimenti belli, brutti,  o curiosi, e poi in ogni caso la famiglia mi interessa come tema perché è la nostra origine, è un po’ come indagare sulla composizione dell’atomo per cercar di capire di cosa siamo fatti. Ho studiato e praticato la psicanalisi, e questo contribuisce a focalizzare l’attenzione sui temi parentali, e in ogni caso la famiglia è una delle cose più importanti, nel bene e nel male, per tutti noi.



Quale è il tuo personaggio preferito in  Malefica Luna di Agosto?
Certamente Gaddo, il mostro di cui parlavo prima,  che  sconvolge le vite apparentemente tranquille di tante persone. Penso che rappresenti ciò che non accettiamo di noi  stessi, cioè la  parte cattiva, emarginata, rifiutata, che però può essere anche portatrice d’amore e di ricchezza. E’ ciò che non amiamo in noi perché troppo diverso  da quello che è accettato dalla società, troppo strano e  fuori dalle regole, che mandiamo appunto a volare via lontano perché non ci dia fastidio. Ma prima o poi ritorna sempre e dobbiamo farci i conti.
Ti sei divertita a scrivere questo libro?
Si , mi sono divertita molto, ho notato che più mi diverto scrivendo, più il risultato alla fine mi soddisfa. Certo non c’è solo questo lato però, a parte l’esaltazione del momento dello scrivere in cui le immagini e le storie mi escono da dentro gioiosamente, c’è anche tutta l’altra parte,  dei dubbi, della revisione, della correzione, della sfiducia a volte… quando scrivo un romanzo tutti i lati del mio carattere sono coinvolti, dal migliore al peggiore.

giovedì 14 gennaio 2016

Il secondo romanzo di Silvano Dragonieri “A Berlino che giorno è” - Alberto Zuccalà






Ciao Silvano, ti ritroviamo col tuo secondo romanzo, nuovamente ambientato negli anni ottanta dello scorso secolo. Come mai questa predilezione?

Per me gli anni 80 rappresentano il periodo della fanciullezza, dato che sono un classe 1979. Pertanto tutti i miei ricordi sono rivestiti da una patina di “dolcezza” che li rende bellissimi. Riscoprire quel decennio con gli occhi dell’adulto è stata una cosa per me incredibile.

Come mai Berlino e perché proprio il 1988? Cosa ti affascina della capitale tedesca?

Ho visitato Berlino diverse volte. Dalla caduta del muro 26 anni fa la città è cambiata completamente quasi a volersi liberare in fretta e furia di un abito sgradito. Mi sarebbe piaciuto molto visitarla nel periodo in cui era divisa ma data la mia età l’ho potuto fare solo virtualmente tramite letture, foto e visione di filmati. Ho deciso dunque di  far compiere ai miei personaggi del libro questo viaggio nella città divisa. Ho scelto il 1988 perché è l’anno prima della caduta, quindi un’epoca spartiacque in cui tutto sta per cambiare ma è ancora come un tempo. 


Anche in “A Berlino che giorno è” – come in “Silvia lo sai” – abbiamo a che fare con amicizia, amore e  calcio. Cosa rappresenta per te questo trinomio?

Semplicemente per me rappresenta il meglio della vita, aggiungendo ovviamente la buona salute, un lavoro che ti faccia vivere dignitosamente, e.. un buon libro accompagnato da una birra artigianale!

Devolverai nuovamente in beneficenza i proventi dei diritti d’autore che ti spettano?

Certamente. Questa volta devolverò i miei diritti d’autore alla ONLUS AMICI DI STEFANO COSTANTINO (www.amicidistefano.com).


Hai già in mente la trama di un nuovo romanzo?

La mia idea è quella (lo so, abbastanza scontata) di fare una sorta di trilogia degli anni 80. Con Silvia lo sai ho esplorato la metà degli 80s, con A Berlino la parte finale. Manca dunque la prima parte degli anni 80. Sarebbe delittuoso non colmare questo buco!

mercoledì 13 gennaio 2016

Giulia, in arte Ju Jumble nell'arena del tendone - Alberto Zuccalà






D: Beh, inizierei dalle domande di rito, parlaci un po’ di te, chi sei, da dove vieni?
R: Ciao, sono Giulia, in arte Ju Jumble e vengo dalla provincia di Milano, più precisamente da Legnano.

D: Ju Jumble… da dove viene questo soprannome?
R: In realtà è venuto spontaneamente. Se dovessi pensare ad un nome d’arte ex novo, così, dal nulla credo proprio che non ci riuscirei. Fin da piccola mi hanno sempre chiamata Ju, quindi mi ci identifico. Jumble in inglese significa accozzaglia, caos. Credo sia una parola che mi rappresenti molto. Non riesco infatti a definirmi una pittrice, scultrice, o appartenente ad una “classe” creativa. Spazio molto nei vari ambiti, mi piace scoprire. Ultimamente lavoro molto con l’acquerello, il digitale, e mi sono innamorata perdutamente dell’animazione, e spero che presto che diventi un amore corrisposto ;)

D: Quindi sei un’artista. Facciamo un salto indietro, da quando hai iniziato ad approcciarti a questo mondo?
R: Fin da che ho memoria. Ero una bambina parecchio pestifera e combinavo parecchi disastri.  Quando i miei genitori hanno visto che matite colorate, pennarelli, pongo e simili erano un ottimo calmante, me li mettevano sempre a disposizione. Da lì non mi sono più fermata. Crescendo è diventata una passione enorme e ho deciso di impostare gli studi su questa via, dal liceo fino all’accademia che frequento tutt’oggi. Vorrei fare della creatività il mio lavoro. “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche un giorno in tutta la tua vita”. Credo molto in questa frase. Certo, non è un ambito facile, ma credo che chiunque si impegni e abbia passione possa farcela.

D: Sei una sognatrice insomma. Qual è l’ultimo progetto a cui stai lavorando?
R: Decisamente si, sono cresciuta durante la generazione Disney, e su di me ha avuto un effetto piuttosto forte. Confesso che tutt’ora amo rispolverare le vecchie cassette e fare maratone di questi grandi classici. Per ora sto lavorando principalmente al progetto di tesi, un lavoro abbastanza particolare, di cui non voglio rivelare ancora nulla. In più sto sperimentando tanto con l’animazione e il digitale. Invento personaggi, e cerco di dare loro vita, una personalità, un’anima.



D: C’è una domanda che ti fanno più spesso riguardante i tuoi lavori?
R: In realtà si, mi chiedono spesso come ho imparato a disegnare. La risposta credo sia molto personale, ognuno ha un suo metodo alla fine. Per quanto mi riguarda è stata fondamentale l’osservazione della realtà e l’allenamento costante. Disegnare è una questione di testa e di mano. Devono lavorare in perfetta sincronia.

D: C’è un lavoro del passato invece al quale sei più legata?
R: Si, il titolo è “Standing”. L’ho realizzato per un concorso indetto dall’accademia in collaborazione con Nescafè. Volevo fare qualcosa che riavvicinasse il pubblico al mondo dell’arte, soprattutto quella moderna, spesso incompresa, che sto ahimè notando che si emancipa sempre di più. Il lavoro ha avuto una buona presa sul pubblico, vederlo curioso, disinibito e partecipe nel relazionarsi con l’opera era il successo più grande che potessi sperare. Si divertivano, sorridevano ed era una sensazione meravigliosa.

D: In cosa consiste questo lavoro?
R: Il concorso è partito associando ad ogni studente una capsula differente di caffè. A me è toccato l’espresso. Il più semplice. Caffè, punto. Potrebbe sembrare addirittura banale in effetti, ed è proprio questa banalità che ha fatto scattare l’idea. Il caffè nelle nostre giornate è diventato parte integrante della routine, lo prendiamo senza quasi rendercene più conto, senza assaporarlo davvero. Una piccola cosa nascosta nella giornata, fatta in automatismo e dimenticata. Allora ho immaginato un caffè al giorno (di media). 365. Ho creato 365 sculture, ognuna da un chicco di caffè. Li ho personificati uno per uno, mettendogli braccia e gambe, permettendogli di stare in piedi da soli. Presi singolarmente quasi non li vedi nemmeno. Ma poi li ho uniti. Li ho messi in fila, in protesta. Ebbene, la fila misurava 8 metri. Così grandi, importanti, nel loro essere piccoli. Volevo che richiamassero l’attenzione all’importanza delle piccole cose, e sono orgogliosa di dire che ci sono riusciti. Le persone quasi inciampavano non vedendoli, ma una volta che se ne accorgevano si incuriosivano e si chinavano al loro livello, guardandoli, giocandoci, scoprendoli. Ci vuole coraggio ad abbassarsi per essere all’altezza di qualcuno.

D: Una grande soddisfazione immagino! Passiamo al lato più social, hai un link ad una pagina, un sito dove è possibile trovare i tuoi lavori?
R: Si, ho una pagina Facebook, Ju Jumble, dove posto un po’ tutto e dove chiunque voglia sapere qualcosa di più può contattarmi. 


Vi aspetto!


martedì 12 gennaio 2016

Daniela Lojarro ed "Il risveglio di Fahryon" - Alberto Zuccalà






· Trama

Fahryon, neofita dell’Ordine dell’Uroburo, fugge dalla capitale del regno di Arjiam insieme ad Uszrany, cavaliere dell’Ordine del Grifo, per evitare di cadere nelle mani del potente nobile Primo Cavaliere del regno, il nobile Mazdraan, segretamente adepto della Malia, l’insidiosa magia legata al Silenzio e al Vuoto.
Tuttavia, durante la precipitosa fuga, il nobile Mazdraan cattura Uszrany; Fahryon, invece, è tratta in salvo da Vehltur, un misterioso Magh. Mentre Uszrany, prigioniero del nobile Mazdraan, scopre sconcertanti segreti sulla storia del regno e impara a convivere con i fantasmi del suo passato, Fahryon, sotto la guida di Vehltur, inizia il cammino iniziatico che, prova dopo prova, la prepara al confronto con il suo avversario, il nobile Mazdraan.

·         I protagonisti principali del romanzo
Fahryon è una giovane donna; ed è neofita, cioè è un’aspirante Magh, studia per diventare un’iniziata ai Misteri del Suono Sacro e praticare l’Armonia. Nelle prime pagine dell’avventura, Tyrnahan, il suo mentore, s’interroga perplesso sul significato della presenza di quella ragazza dai grandi occhi scuri, i capelli bruni che le arrivano a vita, «dall’aria trasognata e dalla figura così fragile con quella carnagione così pallida da sembrare una statuina di porcellana».
All’inizio, infatti, Fahryon è piena di dubbi e incertezze, ha momenti di scoraggiamento: la missione che ha giurato di compiere le sembra al di fuori delle sue possibilità. Non è una predestinata né una prescelta: può contare solo sulle sue forze e sulla sua capacità/possibilità di scegliere e di muovere gli eventi senza avere, apparentemente, un talento o un dono particolari. Lotta accanitamente per superare gli ostacoli e le prove che si trovano sul suo cammino ma per confrontarsi con se stessa, per crescere e diventare consapevole della sua “forza”, Fahryon taglia i ponti con il suo passato e rinuncia perfino a Uszrany, l’uomo che ama.
Una spia al soldo dell’avversario descrive il Cavaliere Uszrany come un giovane «di carnagione scura, di statura superiore alla media; i capelli neri e lisci trattenuti con un laccio; il volto, senza barba o baffi, ha tratti orgogliosi ed alteri».
Già quando entra in scena s’intuisce che Uszrany non è un Cavaliere qualunque. Infatti, nonostante la giovane età e l’inesperienza, è già aiutante del Comandante della capitale, uno dei più valorosi Cavalieri del regno. Uszrany è il cavaliere per eccellenza, forte, coraggioso e, in fondo, perfino un po’ bigotto nella sua cieca fedeltà alla Regola del suo Ordine. Ma è giovane e vive le sue convinzioni con la passione, l’impulsività e l’energia di cui solo un uomo di 20 anni è capace passando da momenti di furia tremenda a momenti di passione e di dolcezza.
Però, nel giro di poche ore, per la sua stessa salvezza, si trova costretto a violare il giuramento di fedeltà che lo lega all’Ordine: il suo perfetto mondo di Cavaliere nutrito di onore e gloria, gli rovina improvvisamente addosso. Da questo momento, delusione, disillusione e mancanza di stima per se stesso s’impadroniscono di lui e diventa così la vittima ideale dell’astuto Mazdraan.
Il nobile Mazdraan colpisce sin dall’inizio con la sua eleganza e la sua capacità oratoria. Il fascino che emana la sua persona lo rende temibile: chiunque lo avvicini, non può sottrarsi alla seduzione della sua voce calda e sensuale, perdendo perfino di vista il valore delle sue parole per lasciarsi avvolgere, o cullare da essa. Riassume in sé la forza dell’eloquenza, la determinazione, la capacità di piegare la volontà altrui alla propria senza minacce dirette: gode nel vedere gli altri soccombere davanti alla sua placida calma, si bea nel far perdere le staffe al prossimo. Lui, al contrario, non perde quasi mai la pazienza, trova il modo di sorridere anche quando vorrebbe lasciarsi prendere dall’ira e s’infuria con se stesso quando perde il controllo.
È un uomo assetato di potere e disposto a tutto pur di ottenerlo. Non esercita il potere per un motivo preciso: lo ama. Ogni sua frase, ogni mossa, ogni pausa o ogni parola sono soppesate, calcolate e mirate per raggiungere uno scopo preciso: il Potere. A parte questo, nulla lo interessa veramente. Mazdraan lo confessa senza alcuna incertezza: «Ho tutto ciò che desidero e che il mio rango può offrirmi. Perciò perché non impegnarmi nella ricerca proibita per raggiungere ciò che ogni uomo in fondo al suo cuore desidera? Il Potere sugli altri, sul Mondo, sul Tempo ma non quello apparente e volubile della sovranità, ma quello assoluto che si può ottenere solo andando oltre alla Legge del Suono Sacro».


L'autore:
Daniela Lojarro è nata a Torino. Terminati gli studi classici e musicali (canto e pianoforte), vince alcuni concorsi internazionali di canto che le aprono le porte fin da giovanissima a una carriera internazionale sui più prestigiosi palcoscenici in Europa, negli U.S.A., in Sud Corea, in Sud Africa nei ruoli di Lucia di Lammermoor, Gilda in Rigoletto e Violetta in Traviata.



Ha inciso diversi CD:
  • G. Rossini Ermione (con M. Caballè, M. Horne)
  • G. Paisiello Nina, ossia la pazza per amore
  • CD Gala Concert con brani da Lucia di Lammermoor di Donizetti, Rigoletto di G. Verdi e Le nozze di Figaro di W. A. Mozart
  • F. & L. Ricci Crispino e la Comare
  • Exawatt: Time Frame
  • Ars Nova: Seventh Hell

Diverse opere da lei interpretate sono state riprese da radio o televisione:
  • G. Rossini Ermione
  • V. Bellini La Sonnambula
  • G.F. Haendel Alcina
  • L. Delibes Lakmé

Alcuni brani da lei incisi sono stati inseriti come Soundtrack in diversi Film:
  • Zeffirelli Toscanini con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti (con C. Bergonzi) e Rigoletto (con C. Bergonzi) di G. Verdi.
  • Harron I shot Andy Warhol con brani da Rigoletto di G. Verdi
  • Scorsese The departed con brani da Lucia di Lammermoor di G. Donizetti