lunedì 24 novembre 2014
Intervista a Sofia Schito - Alberto Zuccalà
Il suo romanzo “La B capovolta”, a più di due anni dalla pubblicazione, continua a riscuotere consensi e ad animare il dibattito di addetti ai lavori e non. Fatto insolito, questo, per un’autrice esordiente con alle spalle una piccola casa editrice. Come se lo spiega?
Credo di essere riuscita ad arrivare ai ragazzi nonostante abbia deciso di raccontare una delle pagine più buie della nostra storia. La Shoah molto spesso viene ritenuta, secondo me a torto, un argomento non adatto a bambini e ragazzi per il semplice motivo che a quell’età ancora non si possiedono gli strumenti atti a comprenderla. Ma a ben guardare nemmeno noi adulti potremo mai comprendere un simile abominio. Possiamo solo conoscerlo e perché non dare questa possibilità anche ai bambini? “La B capovolta” non è solo che un primo passo nella direzione della conoscenza di quello che è stato e della formazione di una coscienza civile.
Della Shoah e di Primo Levi si è tanto parlato, ma lei l’ha fatto in un modo originale, utilizzando un linguaggio semplice e dimostrando una profonda conoscenza del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Immagino non sia stato così immediato. Qual è la difficoltà maggiore che ha incontrato prima di arrivare a questo risultato?
Quando si scrive per i ragazzi la difficoltà maggiore risiede proprio nel linguaggio. Non si ha a disposizione tutto il repertorio linguistico che si potrebbe avere rivolgendosi ad un target più adulto. Con quei pochi strumenti che si hanno a disposizione bisogna essere in grado di intessere una storia e la difficoltà aumenta se la storia riguarda avvenimenti tristemente noti.
Quest’anno lei si è recata ad Auschwitz, proprio nei luoghi raccontati nel suo libro. Se questo viaggio lo avesse compiuto prima di scrivere “La B capovolta”, pensa che il risultato sarebbe stato diverso?
Credo che non sarebbe stato semplice parlarne con leggerezza come invece ho fatto. Per poterlo fare occorre che ci sia una certa distanza fisica ed emotiva dai luoghi e dagli avvenimenti trattati. Forse sarei arrivata allo stesso risultato, ma il processo sarebbe stato senz’altro più lungo.
A pochi mesi dalla pubblicazione, Roberto Denti scrisse una recensione per “La Stampa”. Aveva mai pensato di andare a finire su un quotidiano nazionale?
Assolutamente no. L’emozione fu tanta e sicuramente quella recensione resterà uno dei più bei risultati della mia vita.
Come si spiega il fatto che siamo un popolo di scrittori e non di lettori?
Non vorrei essere fraintesa, ma credo che la democrazia non sempre sia un bene. Il fiorire di tante piccole case editrici, internet, la possibilità per chiunque di scrivere ed essere letto va tutto a discapito dell’editoria di qualità. Non esiste più nessun filtro. Prima bisognava passare da Pavese, Calvino e Vittorini, tanto per citare alcuni tra i più noti, prima di essere letti. Ora non più. La rete come le piccole case editrici hanno senz’altro il merito di far conoscere e dare visibilità a dei perfetti sconosciuti, ma per poter sopravvivere hanno bisogno di pubblicare qualsiasi cosa e di certo non possono permettersi figure specializzate.
Mi scusi se glielo faccio notare, ma “La B capovolta” è stata pubblicata da una piccola casa editrice.
Se Roberto Denti, recensito a sua volta da Pier Paolo Pasolini, tra i giurati del Premio Andersen e il primo ad aprire una libreria per ragazzi in Europa, ha espresso un parere positivo credo di aver brillantemente superato l’esame. Non trova?
Cosa bolle ora in pentola? C’è un altro libro al quale sta lavorando?
Per il momento no. Mi sto dedicando al teatro e ad un progetto in cui credo tanto perché rivolto sempre a bambini e ragazzi. Spero che veda la luce quanto prima.
Non ci può dire niente?
Stay tuned.
Intervista a Daniele Semeraro - Alberto Zuccalà
CHI E’ DANIELE SEMERARO?
Daniele Semeraro, nato in Puglia, sarebbe un trentasettenne infelice come tanti, tenuto a fare un lavoro che più o meno odia ma che gli permette di vivere o, perlomeno, sopravvivere in una delle città più care d’Italia, Firenze. Invece è una persona felice, che vive accanto alla persona che ama, tra libri, musica e passioni comuni, a cui il destino ha concesso un ulteriore privilegio: l’istinto che lo porta a scrivere e, ancora, la fortuna di vedere pian piano il riconoscimento del proprio “lavoro”.
COME INIZIA LA SCRITTURA NEL TUO CASO?
Scrivo in prosa da circa cinque anni. Precedentemente, la passione per la musica e la chitarra mi spingevano a comporre canzoni. Prima ancora, mi limitavo a mettere in fila versi sconnessi su foglietti di carta che restavano sparsi qua e là nella mia camera da letto. Insomma, l’impulso di comunicare con l’inchiostro parte da lontano. A questo proposito, vorrei citare Fabrizio De Andrè, che a sua volta citava Benedetto Croce: “fino ai diciotto anni scrivono tutti poesie. Da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini”. Partendo dal presupposto che sicuramente non sono un poeta, ho cercato una scappatoia avvicinandomi prima alla canzone, come lo stesso Faber. Successivamente, andandomi stretta quella forma d’espressione e spinto dalle tante letture, mi sono rintanato nella narrativa, che mi dà modo di avere un respiro più lungo e di poter articolare in maniera più approfondita le mie tematiche. Questo, appunto, mi permette, si spera, di non rientrare di diritto nella categoria dei cretini.
IL TITOLO DEL TUO ULTIMO LIBRO… COME NASCONO LIBRO E TITOLO? PARLACI DEL TUO LAVORO…
In realtà, oggi, parlare di “ultimo libro” mi è difficile. In ordine di tempo, il mio ultimo lavoro si intitola Na’ jé m’, nel dialetto del mio paese, Non è adesso, in lingua italiana. Romanzo con cui ho avuto la soddisfazione di aggiudicarmi la Giara di Bronzo nell’ultima edizione del Premio Letterario La Giara, indetto da Rai Eri, che prevede la pubblicazione dell’opera con la stessa Rai Eri, ma solo il prossimo anno. Nel segno di Caballero, invece, uscirà a giorni per i tipi di Lupo, stesso editore del mio romanzo d’esordio.
In generale, direi, che ogni mio romanzo nasce da un’immagine, uno spunto, un’intuizione narrativa allo stato grezzo. Avverto forte la necessità di sviluppare quell’idea, senza sapere assolutamente nulla, né dello svolgimento, né dei personaggi, né del finale. So solo che quell’intuizione creerà un mondo. E spesso è così.
Circa il titolo, mi vien da dire che questo è un po’ come l’amore. Ad un certo punto della narrazione, ti viene incontro, e lo riconosci, immediatamente. Di solito per me funziona così. Per Nel segno di Caballero, ad esempio, questo incontro è stato provvidenziale: guardando la tv – son passati ormai tre anni –, mi imbattei nella presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa, Nel segno del Cavaliere (Diciassette anni di berlusconismo). Tanto bastò non solo a trovare un titolo perfetto, ma addirittura a condizionare l’intero corso della vita dell’innocuo racconto che in quei giorni stavo scrivendo. Proprio come fa l’amore vero con l’esistenza di chi ha la fortuna di incontrarlo, quel racconto trovò la giusta direzione, un destino che alla fine lo portò a diventare la caustica e provocatoria metafora berlusconiana a cui il grande Shel Shapiro ha voluto donare una sua nota di presentazione.
HAI ALTRE PASSIONI OLTRE LA SCRITTURA?
Della musica ho già parlato. È vitale. I miei romanzi, quasi tutti, sono pregni di musica. Inoltre amo il cinema, in maniera particolare guardare e riguardare vecchi film di grandi registi e attori italiani, ma non solo quelli. Alla pittura mi ha avvicinato la mia compagna. Mi ci accosto con cautela, col rispetto dovuto, ma è un piacere conoscere e approfondire la vita e le opere dei maestri di quest’arte che, dal mio punto di vista, più delle altre maggiormente necessita, in chi vi si approccia, di quella inspiegabile virtù che solitamente definiamo talento.
E’ DIFFICILE INSERISI COME SCRITTORE NELLA NOSTRA EPOCA? PERCHE’?
Dipende da come la si vuol vedere. Credo sia difficile, molto complicato, e che richieda un grande sforzo, farlo per bene. Diversamente, con l’auto-pubblicazione e l’editoria a pagamento, o peggio ancora, il clientelismo, è diventata la cosa più semplice del mondo. Basta investire. Il problema è la qualità. Difficile è inserirsi degnamente, quindi. Invece, sia tra i giovani e gli esordienti che ad altissimi livelli, c’è tanta gente che troppo facilmente vi si inserisce con successo, spesso e volentieri in maniera indegna.
SE TI PRESENTO LA COPIA DI UN TUO LIBRO, PER UNA DEDICA COSA MI SCRVI?
Beh, anche per questo ho bisogno dello spunto poetico. E, considerando che è assai più complicato scrivere una dedica che il libro stesso, confido in un incontro che faciliti la cosa!
Sito web: nelsegnodicaballero.wix.com/daniele-semeraro
Pagina Facebook: Daniele Semeraro
domenica 9 novembre 2014
Intervista a MariaGiovanna Luini - Alberto Zuccalà
CHI E’ MARIA GIOVANNA LUINI?
Un insieme di potenzialità infinite, come tutti noi. Una
donna di 44 anni in questa incarnazione. Oggi questa donna scrive romanzi,
saggi e fiabe, sceneggiature e programmi radiofonici, fa comunicazione
scientifica. E fa anche la senologa chirurgo e il medico
di Medicina Energetica.
TI SENTI PIU’ MEDICO O SCRITTORE? SONO DUE PROFESSIONI
CONCILIABILI?
Domanda classica, chissà se agli scrittori architetti si
pone così spesso una domanda analoga. Siamo tutti un insieme di potenzialità,
volendo potremmo svilupparne decine all’infinito. Ogni volta che diamo una
definizione secca, precisa di noi creiamo una gabbia e ci chiudiamo dentro;
poniamo limiti a noi stessi proprio per il fatto di ingessarci dentro
definizioni. Per questo tento di non usare “io sono” nel dare di me stessa
definizioni limitative, e sarebbe bello che tutti imitassero questa abitudine
apparentemente banale. Voglio essere tutto ciò che posso. Scrivo tantissimo e
quando lo faccio è quello il mio unico mondo, giro l’Italia con qualche
puntatina all’estero per presentare i miei libri, lavoro come senologa all’Istituto
Europeo di Oncologia di Milano e come medico di Medicina Integrata (Reiki,
Pranic Healing eccetera) in uno studio privato a Milano e quando mi dedico ai
“pazienti” loro sono tutto il mio mondo. Partecipo a programmi radiofonici e
televisivi ed ecco che sono tutta lì. Sulla conciliabilità tra scrittura e
medicina facciamo rispondere a Cechov, a Bulgakov, a Celine? Lo sguardo del
medico e dello scrittore si assomigliano molto, così come la loro conoscenza
profonda, quasi medianica, della vita. Mi capita molto spesso di intuire molto
prima cose che effettivamente accadranno, escono da sole mentre scrivo oppure
si materializzano nella testa quando visito pazienti.
QUANDO E COME INIZIA LA TUA ESPERIENZA DI SCRITTRICE?
Inizia con un piccolo libro di fiabe scritto per i malati di
tumore, nel 2006 circa. Prima ancora avevo un blog notato da alcuni editori, un
anno prima direi. Poi c’è stato il primo romanzo: “Una storia ai delfini”, Creativa, cinquemila copie vendute che per un editore indipendente non è male.
“IL MALE DENTRO” PUBBLICATO CON CAIRO EDITORE. UN TITOLO CHE
RACCONTA IL LIBRO? DI COSA PARLA?
Ferzan Ozpetek dice che il titolo limita il libro e non lo
rappresenta e sono d’accordo con lui. Non è una critica ma una constatazione
(io invento titoli pessimi, “Il male dentro” è un bel titolo non scelto da me
ma effettivamente crea un’aura negativa che poi nel libro non esiste). E’ un
romanzo ambientato in un centro oncologico di eccellenza, racconta storie di
pazienti e medici e familiari di pazienti: c’è amore, c’è erotismo, c’è
speranza, ironia, morte e dubbi. E c’è anche la pranoterapia in un contesto
ipertecnologico…
LAVORATIVAMENTE SEI VICINISSIMA ALLA FIGURA STORICA DI
UMBERTO VERONESI, TI HA MAI DATO QUALCHE SUGGERIMENTO PER IL TUO IMPEGNO DA
SCRITTRICE?
Sì. Uno solo. Secondo lui è la mia vocazione principale e
devo andare avanti, sempre avanti. L’ha sempre detto. Ha letto alcuni romanzi
ancora inediti e spesso mi chiede perché non siano ancora usciti. Pare gli
piaccia molto come scrivo, e d’altra parte visto che siamo coautori di alcuni
libri (il più recente è adesso in libreria: “Oltre il dolore. Viaggio nel senso
profondo della vita” edito da Cairo, il prossimo uscirà per Mondadori in
gennaio 2015) credo sia vero: non scriverebbe insieme a qualcuno che secondo
lui non sa cogliere ciò che vuole dire o non sa usare lo stile anche nella
scrittura.
Sono una donna piena di passione. Senza passione cosa si può
fare? Mi piace la gente, mi piace l’amore, mi piacciono i viaggi e i
cambiamenti, mi piace il cibo, mi piace, la curiosità, mi piace la ricerca di
qualcosa oltre. Mi piace coltivare nel senso migliore, cioè nell’aiuto agli
altri, la mia sensitività (sì, non ho scritto sensibilità ma sensitività).
SE PRESENTO LA COPIA DI UN TUO LIBRO PER UNA DEDICA COSA MI
SCRIVI?
Guardi i tuoi occhi e mi lascio colpire da qualcosa nella
tua aura, in ciò che dici, nei tuoi colori. E’ sempre così. La dedica
rispecchia la mia lettura istantanea di te.
sabato 8 novembre 2014
“Interno Giorno” un libro di Roberta Magliocca - Alberto Zuccalà
Partendo da una piccola provincia del casertano, passando
per Madrid, sognando di ballare per le strade di Dublino, fino alla vetta della
Tour Eiffel. Viaggi fisici e mentali, con valigie pesanti di vestiti o leggere
di pensieri. Questo e ancor di più è “Interno Giorno”, primo lavoro letterario
dell’esordiente scrittrice Roberta Magliocca. E’ un libro che si legge
sconvolgendo l’ordine, lo si può far cominciare dal mezzo, proseguire con le ultime pagine e terminare con
l’inizio. Oppure non farlo terminare mai. Perché è un susseguirsi di pensieri
che sono fuori da ogni tempo o spazio, ma hanno vita propria. Non hanno orari,
ma hanno sentimenti. Non hanno casa, ma abitano sulle panchine al parco o nel
cuore di chi li ascolta. Sono esperienze personali messe al servizio di chi
vuole servirsene, di chi crede che l’amore sia tutto e niente, sia una “lotta senza esclusione di colpi”,
sia qualcosa per cui vale sempre la pena vivere nonostante lacrime e
sofferenze. Roberta Magliocca è una ragazza di 25 anni, studentessa di Lettere
Moderne alla Federico II di Napoli, stagista presso la Rai di Roma, articolista
per diverse testate della Campania, aspirante giornalista inviata di guerra.
Come tutti i suoi coetanei ha ambizioni e sentimenti che la spingono sempre
aldilà del proprio naso, con una curiosità che la portano a mordere il mondo
con un’avidità che troppo spesso passa con l’avanzare degli anni. Anche questo
libro ha 25 anni. E’ giovane, sognante, una pagina malinconica e quella subito
dopo euforica. Ha sbalzi di umore, ha odio e amore, ma mai indifferenza. Ci si
legge un’ironia pungente che mette con le spalle al muro. Non si scappa, si
riflette. Ci si immedesima con storie che chiunque di noi ha vissuto, solo in
tempi e con nomi diversi. Si, insomma, è la voglia di imprigionare quell’età
così carica, affinchè non passi mai, affinchè la si possa ricordare anche a 40
anni, anche ad 80, la si possa leggere sempre, anche quando spesso ci si
dimentica di essere stati “giovani e fancazzisti”. Lo consiglio a chi voglia avere il proprio
pezzo di gioventù sempre con sé, a chi vuole la propria Madrid, la propria
Dublino, la propria Parigi nel cassetto del comodino.
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