sabato 3 agosto 2013

"Bestemmia sterile" di Antonio Iannone - Il clan del tendone



'Non che Penelope non l’amassi, ma non la riconobbi, era un cerone di mille adolescenze quando partii, o Era, era ognuna delle bellezze immaginate di golene e di falene di tempeste e nei miei versi lei era sola, con i graffi della pelle sul cerone, la lingua cianotica del silenzio operaio e la fronte schernita dalle altre ancelle vergini e sorridenti senza la civetteria bellica di qualsiasi Calipso regina o serva di sé stessa. Perché smettiamo di essere versi? [...] Un viso rattristato, corroso dai detriti dei ricordi, un seno svuotato di ogni malizia, un corpo magro, disforme, modello, moderno, come le occhiaie di notti insonni e la voce di una fumatrice, poi le mani. Le mani, o Poseidone che infimo ascolti le mie miserie, le mani. Anelli nel legno, che a contarli ci si leggerebbero i millenni dei carmi dei bardi ciechi, le mani, o Apollo. Polvere, le sue mani erano polvere. Non che non amassi Penelope, ma le sue mani erano polvere e la sua bocca una ragnatela e l’onore dei proci e per un attimo, o Perseo, desiderai che mi avesse tradito con il meno kalokagathos di loro o con tutti loro insieme o con il cane Argo che era appena morto.' Da 'Bestemmia Sterile', la sua prima raccolta di monologhi.

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